X
giovedì 21 Agosto 2025
Cerca

Un campanile che rintocca cento anni di storia

GUARDIALFIERA. Tante storie in una sola storia: 19 agosto, cento anni dalla edificazione del Campanile di Guardialfiera. Audacia e umiltà dell’arciprete Caluori e il sarcasmo di Giambattista Masciotta. Giambattista Masciotta – kalendino e intellettuale di razza; ricamatore di storia; di genetica umana, culturale, politica; autore dei quattro poderosi Volumi analitici sui 136 Comuni del Molise- fu anche podestà fascista a Guardialfiera dal 1929 al 1933. Per effetto di questo mandato, realizzò l’elegante e comoda scalea che, dal diroccato Episcopio, s’innalza deliziosa verso la Cattedrale. Ma, ahimé, nel passato non venne sufficientemente ammnistiato dal popolo, per via di una sua omerica implorazione cantata nel 1887 alla Musa Camèna, perché le fosse larga dispensiera di cetra, e di soavi pensieri; e per poter sciogliere, così, un Inno a Guardialfiera, al cielo, al clima, al vasto panorama, ai suoi superbi ruderi”. Sennonché la sua poetica scivola d’improvviso a bassa quota e, con disgustoso gergo, così beffeggia l’Arciprete Caluori “per un maial messo a dormir in la magion di Dio” (cioé dentro la Casa del Signore) e per l’allusione all’incrocio di tre travi d’asciutto legno, che appesevi son le tre campane” (quelle recuperate dal vecchio campanile fatiscente e abbattuto a metà del XIX secolo. In quel 1887 – l’anno del “carme” don Donato è giovane sacerdote ventisettenne.

Diventerà Vicario Foraneo, Canonico Onorario, Parroco e Arciprete a Guardialfiera, per 70 anni. Ma – seppur fortemente indiziato di santità – viene infastidito dal “poetico sarcasmo”. E’ avvilito, ma non impazzito. Non si arrende: ne accoglie la provocazione e la capovolge in positività. Si racconta che in un quaresimale – egli irruppe così: “Non avrei, forse, mai innalzato il campanile, senza l’ossatura di un volgare sfottò”. Incarica, dunque l’architetto Vittorio Romanelli di Napoli per l’ideazione d’una ardita torre campanaria. Elegge Direttore dei lavori Vincenzo Bucci e “Capomastro” Francesco Trolio. Ed è subito slancio, è sussulto nella estrazione e lavorazione di pietre dentro le Cave a “Valle Cupa” . Un gareggiar di manovali e scalpellini, lì, a squarciare pareti e a sagomare blocchi, avvalendosi solo degli strumenti rudimentali di allora. Chi mai avrebbe sognato che, da lì a venti a venti anni sarebbe sopraggiunta la modernità, motorizzazione e l’elettricità. Anche le prime gru e le altre piattaforme d sollevamento, approderanno qui sul finir degli anni ’40! Sicché la caterva di materiale decorato, è trasferito in paese, per lunghi anni e per tredici chilometri di carrareccia, soltanto a dorso di resistenti muli martinesi. E, dal sagrato del tempio, i “belegnini” (i massi lavorati) vengono tirati sul costruendo campanile, tenacemente a mano o attraverso un “mangano”. Immaginiamoci le giravolte della croce di ferro innalzata, tirata su a quell’altezza, con catene agganciate ad una gigantesca “ruocela”.

Che favola! E, man mano,coraggio alternato a tradimenti, gelosie, latitanze. Avversità del potere politico. E le immotivate azioni giudiziarie fiaccano – più tardi – l’entusiasmo dell’Arciprete. Sciaguratamente, il 24 maggio 1915, scoppia persino la Prima Guerra Mondiale. I giovani operai del Campanile ricevono la Cartolina di Precetto e partono per il fronte, corazzati dallo Scapolare imposto a ciascuno di loro con la benedizione e l’amorevolezza del Sacerdote. Ma, come per magìa, il “capolavoro”, nel 1925, è completo! Immortalato dalla pietra bianca nostra, da taglio, squadrata, scalpellata, trapunta come su un raso di seta da picchiettature, tipiche dell’artigianato artistico guardiense. Campanile snello, altissimo, imponente, ridente a cuspide piramidale che, a mo’ di freccia, è puntato verso l’immensità dei Cieli. E ora si riflette anche nella conca azzurra del Lago vivacizzato da un lungo viadotto e dal rosario di 113 piloni che spuntano per 5 km, dalle acque profonde. Altro che il satirico cantico del Masciotta! Al quale, per l’avvenuta riconciliazione col Parroco e per un gesto di alto valore “campanilistico”, il 13 agosto 1932, sul sagrato del tempio, esattamente sul luogo delle “tre travi d’asciutto legno”, gli verrà conferita la medaglia d’oro, istituita del Duce”, per i Potestà meritevoli.

Intelligente e un po’ diffidente e – in un eccesso di autostima – l’Arciprete fa incidere da Franco Mancini su lastra di pietra noce incastrata sul lato occidentale della Torre, il seguente epitaffio: “Donatus Arc. Caluori, qui hanc Sacram Turrim aere suo et populi auxilio, funditus erexit, A:D:1925, ne memoriam peruit. A cento anni dalla realizzazione, Vincenzo Tozzi, sindaco della Città, con patrio orgoglio, ne dispone “il recordatio”, condiviso dal pastorale gaudio del vescovo Claudio Palumbo, Ordinario Diocesano, il quale presiederà la Solecce Celebrazione Eucaristica in Cattedrale martedì 19 alle h. 18 nella antica Cattedrale, assieme a Padre Anbu, Parroco della Comunità. Affiora in questa occasione anche il coraggio di educare, l’urgenza di dialogare e lo sforzo di annunciare e vivere un passato che non passa e ad essere cristiani di oggi vivendo la stessa fede di don Caluori, quelle fede che rimane sempre un dono ricevuto e dono da praticare.

Vincenzo Di Sabato