TERMOLI. Il richiamo del Molise, delle radici, della costa e dell’entroterra. E’ quello che ha indotto Adriana Ciccaglione a decidere di voler rientrare nel nostro territorio, dopo una vita trascorsa tra Europa e Sudamerica.
Dalle strade di Caracas ai quartieri di Siviglia, passando per i progetti culturali in Portogallo, ho imparato a raccontare storie complesse con precisione e cuore.
Si chiama Adriana Ciccaglione, giornalista e comunicatrice italo-venezuelana con oltre vent’anni di esperienza internazionale tra Venezuela, Spagna e Portogallo. Ha lavorato per testate storiche come El Impulso e media europei come Eldiario.es e Ema RTV, raccontando storie sociali, culturali e migratorie con attenzione ai diritti e alla prospettiva di genere.
Si dichiara donna sensibile, che ha imparato a osservare e comprendere diversi contesti e culture, affinando così la mia capacità di dare alle storie una prospettiva particolare e autentica. «Ora torno in Molise, alle mie radici, per portare questa esperienza internazionale a chi vive qui, valorizzando le radici, le persone e le comunità, e dare voce alle storie locali con uno sguardo autentico e inclusivo».
Il percorso tra Italia e Venezuela: le radici e l’identità italo-venezuelana.
«Sono nata in una famiglia italo-venezuelana: madre venezuelana afrodiscendente e padre italiano. Fin da piccola, tra antipasti e vini italiani e la hallaca venezuelana, ho respirato un intreccio culturale che ha formato la mia identità. Nei viaggi di mio padre verso il Molise, eravamo noi bambini a mettere cioccolatini, lettere, disegni e fotografie nelle valigie, accorciando le distanze e alimentando l’amore per le radici molisane. Questo legame tra due culture diverse mi accompagna ancora oggi e mi guida nel giornalismo: un patrimonio che mi permette di raccontare storie con autenticità, sfumature culturali e senso di appartenenza».
Anni di lavoro in Venezuela in un contesto complesso e dinamico
«Una delle prime cose che ho imparato lavorando in Venezuela è stata a prendermi cura di me stessa come giornalista. Ho iniziato al El Impulso, il quotidiano più antico del paese, dove ho avuto l’opportunità di fare giornalismo “tradizionale”: l’odore della carta stampata, il lavoro con oltre 200 colleghi e l’esperienza diretta nelle fonti di cultura, educazione e ambiente, fino ad arrivare al giornalismo investigativo, che mi ha insegnato molto tra sfide, minacce e momenti di grande crescita professionale. La censura, spesso anche l’autocensura, e la profonda impunità, che resta uno dei maggiori problemi sociali in Venezuela, hanno rafforzato il mio spirito e il mio impegno. Come dice Kapuściński: “Il lavoro del giornalista non è quello di calpestare gli scarafaggi, ma di accendere la luce, affinché la gente veda come corrono a nascondersi”».
Le collaborazioni con El Impulso, Eldiario.es, EMA RTV
«Durante gli anni di lavoro in diversi media internazionali, ho sviluppato una pratica giornalistica completa, che spazia dall’inchiesta investigativa alla comunicazione culturale e politica. Ho imparato a raccontare storie complesse, gestire situazioni delicate e a collaborare con team eterogenei. Tra le esperienze più significative:
In El Impulso ho realizzato l’inchiesta Rostros de la impunidad, sui minori uccisi dalla polizia, mostrando chi erano davvero: studenti e figli esemplari. Ricordo l’abbraccio di una nonna dopo l’intervista e le minacce ricevute, che mi hanno fatto crescere come giornalista.
A Eldiario.es ho condotto interviste politiche a Siviglia, ponendo le domande più scomode al sindaco e imparando il valore della critica costruttiva.
Con EMA RTV e altri media ho affinato l’adattamento a diversi formati. Grazie alla mia esperienza internazionale ho avuto l’opportunità unica di intervistare il regista Oscar László Nemes, vincitore dell’Oscar, e di seguire eventi di grande rilevanza come i Goya e la presenza di Barack Obama alla WTTC – 2019, esperienze che mi hanno insegnato a cogliere le sfumature della comunicazione globale, ad affrontare situazioni ad alta pressione e ad arricchire la mia visione del giornalismo internazionale applicato alla realtà locale».
Differenze tra giornalismo sudamericano ed europeo
«In Venezuela ho lavorato in una redazione completa: computer, auto, fotografi, e riunioni quotidiane con coordinatori e colleghi per definire l’approccio a ogni tema e decidere cosa meritasse la prima pagina. Ogni giorno era intenso, formativo, a volte drammatico.
Arrivata in Spagna ho trovato realtà diverse: alcune strutturate, altre dove sei tu a fare tutto, senza confronto quotidiano. Ma la differenza più grande non è solo questa: è la libertà. In Europa si vive in democrazia, senza paura di coprire una manifestazione o di subire manipolazioni politiche sui media. In Venezuela, negli ultimi vent’anni, il controllo sui giornali è stato enorme.
Queste esperienze mi hanno resa resiliente, attenta, e profondamente consapevole dell’importanza della libertà d’informazione. Ogni articolo che scrivo porta con sé questo sguardo internazionale, ma sempre vicino alle persone e alle comunità».
I progetti culturali e sociali sviluppati e seguiti
»In Venezuela, come in molti altri paesi, non si studia “giornalismo” in senso stretto, ma Comunicazione Sociale. Io ho scelto la specializzazione in Sviluppo Sociale, che mi ha dato gli strumenti per elaborare e seguire progetti con un impatto concreto sulla collettività, integrando sempre la prospettiva comunicazionale.
Negli ultimi anni ho sviluppato e accompagnato diversi progetti culturali e sociali in Spagna e in Portogallo. Tra questi, il podcast Proyecto Las Resilientes (Casa Sáhara APSS, 2022), in cui ho raccolto le storie di donne afghane, colombiane e migranti nell’ambito dell’Agenda 2030. Con Cepaim ho curato la mostra fotografica Migrando a Pecho Abierto, presentata a Siviglia e Beja, che racconta in 24 immagini le sfide e le speranze migratorie delle donne in America, Africa e Asia. Sempre con Cepaim ho facilitato il laboratorio Donna e Nutrizione, rivolto a donne vulnerabili per promuovere benessere e diritti con un approccio di genere.
Ho ideato il progetto Nuove Narrazioni, sostenuto dalla Fondazione Gulbenkian (Portogallo 2024), e ho realizzato laboratori di Photovoice con donne del quartiere più povero di Siviglia, insegnando loro a usare la fotografia come strumento di espressione e memoria collettiva. Parallelamente, ho svolto attività continuativa in iniziative di attivismo e solidarietà, assumendo anche la responsabilità della comunicazione: mensa per donne vittime di violenza a Siviglia e Amnesty International, dove ho curato i rapporti con i media e dato visibilità alle campagne.
Infine, porto nel cuore l’esperienza di fondatrice e referente del Comitato Molise Pro Venezuela (2017), nato dopo il mio intervento presso il Consiglio Regionale del Molise. È stata una collaborazione istituzionale che ha dato voce alla crisi venezuelana, rafforzando legami di solidarietà e promuovendo raccolte fondi e attività di sensibilizzazione.
Queste esperienze mi hanno insegnato che il giornalismo e i progetti sociali non sono mondi separati, ma dimensioni che si arricchiscono a vicenda: raccontare significa anche dare strumenti, costruire comunità e generare cambiamento».
Il ruolo del giornalismo come strumento di connessione tra comunità e territori
«Il giornalismo, per me, è sempre stato un ponte tra le persone e i luoghi in cui vivono. Raccontare storie locali significa far emergere voci che altrimenti resterebbero silenziose, creare consapevolezza e far dialogare comunità diverse.
Durante i miei progetti ho visto quanto una storia possa avvicinare chi abita quartieri distanti o chi vive esperienze differenti: un articolo, un reportage fotografico o un podcast possono stimolare il dialogo, valorizzare le tradizioni locali e far sentire ognuno parte di qualcosa di più grande.
Credo che il giornalismo non debba limitarsi a informare: deve costruire reti sociali, promuovere la conoscenza reciproca e rafforzare il senso di appartenenza a un territorio, rendendo visibili problemi, successi e la ricchezza culturale di una comunità».
L’importanza del multimediale oggi: scrittura, radio, digitale
«Oggi il multimediale offre una narrativa più ricca e accessibile, permettendo di raccontare le realtà attraverso diversi formati: scrittura, audio, video e fotografia. Non sono i nuovi strumenti a minacciare il giornalismo, ma la diffusione dei falsi contenuti. Usati con responsabilità, questi media ampliano la capacità di connettere, informare e dare credibilità alle storie».
Le ragioni della scelta di rientrare stabilmente
«Questa volta non me ne vado per obbligo, ma scelgo di muovermi con consapevolezza. Il Molise non è un rifugio, è il mio progetto. Non cerco una salvezza: porto il mio lavoro, la mia voce, la mia storia. Il mio ritorno è accompagnato da una scelta ponderata e organizzata, guidata da un profondo amore per questa terra. Dopo anni di esperienza internazionale, desidero mettere tutto ciò che ho imparato al servizio del territorio, raccontando storie locali con uno sguardo attento, appassionato».
Il legame con le radici e il territorio: ricordi personali e familiari
«Ero una bambina e all’inizio di marzo ricordo come mio padre chiamasse le zie per controllare che tutto fosse pronto per la festa di San Giuseppe a Riccia, un ricordo che lui conservava di mia nonna Vincenza. Quando ho visitato per la prima volta il paese di mio padre e nonno, tutte le storie che mi raccontava prendevano vita: i colori, i profumi, le tradizioni. Crescendo, ero io a condividere con lui nuove feste e manifestazioni culturali; lui rideva e aggiungeva sempre dettagli che mi ispiravano a continuare a scoprire la regione. Questo legame con le radici molisane ha formato il mio sguardo, i miei valori e il mio senso di appartenenza, e ancora oggi è intatto in me. Questa connessione personale mi permette di portare una prospettiva nel giornalismo locale, raccontando storie con autenticità, calore e vicinanza alla comunità, valorizzando ciò che rende speciale il territorio».
Emanuele Bracone











