TERMOLI. Ci sono settimane che lasciano un segno indelebile, settimane in cui le pagine di cronaca sembrano trasformarsi in un bollettino di guerra. Quella che il Molise sta vivendo è una di queste: una scia di lutti che ha attraversato paesi, famiglie, strade, mostrando quanto fragile possa essere la vita, quanto vulnerabile una comunità che di solito si racconta come tranquilla, protetta, silenziosa.
L’ultima ferita porta il nome di Michele Melfi, macellaio stimato e conosciuto da tutti a San Martino in Pensilis. Un incidente sulla tangenziale di Campobasso lo ha portato via, lasciando un vuoto che le decine di messaggi di cordoglio apparsi sui social hanno subito provato a colmare. “Ci eravamo presi un caffè ieri, non posso crederci”, ha scritto qualcuno. È l’incredulità che diventa dolore collettivo, che si riversa in abbracci, in ricordi, in una comunità intera che si stringe attorno a una famiglia distrutta. Nell’incidente, anche un’altra vittima, una donna di Avellino.
Ma questa non è stata l’unica tragedia. Pochi giorni fa, a Montenero di Bisaccia, la giovane Ilaria Forgione, 25 anni, incinta all’ottavo mese, ha perso la vita in un incidente stradale. Con lei è morto anche il bambino che portava in grembo. Una notizia che ha spezzato il cuore di un intero paese: non solo una madre mancata, ma anche una nuova vita mai nata.
E ancora, la violenza che irrompe dentro le case: a Ferrazzano si è consumato l’epilogo drammatico del femminicidio di Elisa Polcino, uccisa nel Beneventano dal marito, poi fermato proprio qui. Nel dramma, a pagare sono stati anche i figli: Cosimo, 16 anni, è morto; la sorella di 15 anni lotta ancora tra la vita e la morte. La violenza di genere non è un fatto lontano, non accade altrove: è qui, ci riguarda, lacera anche il nostro territorio.
E così il Molise, terra piccola dove tutti si conoscono, si ritrova stretto in una spirale di dolore. Non sono solo notizie: sono nomi, volti, storie che fino a ieri riempivano la quotidianità. Un caffè preso al bar, una bottega dove fermarsi a comprare la carne, il sorriso di una ragazza che sognava di diventare madre. Tutto spezzato in un attimo.
Per noi giornalisti, raccontare queste tragedie diventa difficile. Non è solo cronaca: è cercare parole per il dolore, tentare di restituire dignità a vite spezzate, senza banalizzare o ridurre tutto a una notizia. Ogni nome è un peso, ogni volto è un ricordo, e ogni articolo è una sfida a fare giustizia alla memoria di chi non c’è più.
Davanti a questa sequenza, la domanda si impone: è solo destino crudele? Fatalità che non si possono evitare? O c’è qualcosa che si può e si deve fare? Strade più sicure, prevenzione, attenzione ai segnali della violenza domestica, istituzioni capaci di intervenire prima e non solo dopo. Il lutto, per quanto corale, non basta. Le lacrime, per quanto sincere, non possono restare sospese nel vuoto.
Il Molise piange Michele, Ilaria, Elisa, Cosimo. Piange come una sola comunità, perché in questa terra piccola il dolore non si conta: si condivide. Ma il vero tributo che possiamo offrire non è solo il ricordo, bensì la volontà di cambiare, di trasformare la memoria in responsabilità, la commozione in impegno.
Perché ogni vita spezzata non sia solo l’ennesimo nome da aggiungere a un elenco di tragedie, ma il segno da cui ripartire per pretendere un futuro diverso.
Alberta Zulli

