X
mercoledì 19 Novembre 2025
Cerca

Il mio Carlo Verdone, quello dell’infanzia: 75 anni di risate e malinconia

https://www.comune.roma.it/web/it/home.page

TERMOLI. Oggi, 17 novembre, la città di Roma, e con essa l’Italia intera, celebra un compleanno importante: Carlo Verdone compie 75 anni.

Un traguardo che la Capitale ha voluto onorare con un omaggio che più romano non si può, quello di “sindaco per un giorno”, con tanto di fascia tricolore e visita alle periferie, un tributo che evoca il suo maestro, Alberto Sordi.

Mentre i titoli dei giornali si riempiono di celebrazioni ufficiali e riassunti di una carriera strepitosa, io, che ho 45 anni, desidero fare un passo indietro.

Voglio tornare a quel tempo in cui Verdone non era ancora l’istituzione che è oggi, ma una figura familiare che irrompeva con forza nel salotto di casa attraverso lo schermo televisivo.

Per noi nati a cavallo tra gli anni ’70 e gli ’80, i film di Carlo Verdone non sono semplici commedie: sono veri e propri marcatori temporali della nostra crescita.

Ricordo le videocassette consumate, le riunioni familiari davanti a quei personaggi strampalati, ma in fondo così autentici, che ci strappavano risate fragorose, spesso venate da un sottile imbarazzo.

Cresciuta negli anni ’80, ho vissuto i primi film di Verdone come un manuale semiserio per decifrare l’umanità adulta che mi circondava.

Il caos perfetto di “Bianco, Rosso e Verdone” (1981): avevo circa sei anni quando, con ogni probabilità, vidi questo film per la prima volta.

Non potevo comprendere le dinamiche elettorali o il tema dell’emigrazione, ma afferravo perfettamente la disperazione di Furio Zoccano, l’uomo meticoloso che necessitava di un elastico per non soccombere alla follia, e la dolce ingenuità di Mimmo, con la sua nonna (la mitica sora Lella) e il disastroso viaggio in auto.

Quella sensazione che le cose non andassero mai come previsto, e che la vita fosse una faticaccia tragicomica, è stata una delle prime lezioni che Verdone mi ha impartito.

“Borotalco” (1982) e l’eroe anti-eroe: il mio eroe di quel periodo era il timido e impacciato Sergio, costretto a fingersi un affascinante manager discografico per conquistare una donna (la splendida Eleonora Giorgi).

La sua goffaggine era la nostra, la sua ansia di non sentirsi all’altezza era contagiosa. Mi faceva credere che, in fondo, fosse non solo accettabile, ma persino un po’ poetico, non essere “troppo forte”.

Ricordo ancora come le battute di quei film entrassero nel nostro vocabolario quotidiano, accompagnandoci nelle dinamiche familiari come un costante sottofondo musicale.

Questi film non offrivano solo risate facili. Erano uno sguardo acuto sul vicino di casa, sul parente “un po’ così”, sull’amico perennemente stressato.

Erano la dimostrazione che dietro ogni maschera si nascondeva un’ansia, una solitudine, un nervosismo da esorcizzare con una risata liberatoria.

Il successo di queste opere fu immediato e duraturo: il suo film d’esordio “Un sacco bello” (1980), incassò quasi 2,7 miliardi di lire, un risultato sorprendente che lanciò Verdone come autore completo e consolidò una galleria di “macchiette” entrate nell’immaginario collettivo.

Verdone è stato, ed è tuttora, il cantore malinconico di un’Italia nevrotica, ma profondamente sentimentale.

Oggi, riguardando quelle scene con gli occhi di una 45enne, colgo con maggiore profondità il suo genio: la capacità di mescolare la risata più fragorosa con una vena di tristezza, di solitudine, di quel senso di “non ce la faccio” che, prima o poi, assale tutti noi.

Grazie, Carlo. Grazie per gli occhi lucidi e le pance doloranti dalle risate, per averci raccontato (e per continuare a farlo) un pezzo fondamentale della nostra vita.

Buon compleanno! E speriamo che la Magda di turno non lo chiami per dirgli: «Tutto apposto, tutto a posto, m’hanno fatto un bel Tso!».

Eliana Ronzullo