TERMOLI. Niente feste di compleanno, niente giochi di gruppo e, cosa peggiore, nessun abbraccio o contatto fisico con i propri compagni di classe: i bambini sono i primi a soffrire della solitudine da Covid-19 a causa della socialità irrimediabilmente spezzata e difficile da ricongiungere. Una sofferenza non nuova, con cui i bambini, soprattutto più piccoli, fanno i conti da quasi un anno ma che rischia di provocare effetti negativi sulla loro capacità di rapportarsi con gli altri.
Difficile riuscire a spiegare loro perché non possono abbracciare il loro compagno o il motivo per il quale non possono più andare a scuola, un loro rifugio personale in cui crescere ed esprimersi. I genitori provano a renderli partecipi, cercando parole semplici con cui metterli al corrente di quanto sta accadendo, ma non sempre è facile: «Il coronavirus è peggio dei vermi», racconta Arianna che, assieme al gemello Christian ha da poco compiuto 5 anni (sono nati il 16 dicembre ndr) e soffre perché «a scuola va malissimo perché Franca deve pulire tutto».
Ad essere «brutto» per utilizzare un termine preso in prestito da Arianna, è anche il fatto che in classe devono stare «tutti lontani, come questa riga (mostrando lo strumento che utilizzano in classe)». Unica consolazione, per i bambini, è la casa e la sicurezza deputata di un luogo familiare e isolato dal resto del mondo: «A casa non c’è – annuncia Christian – Però mi manca giocare con i miei amici».
Oltre al rapporto con i propri compagni, viene meno anche il compleanno, il realizzarsi di una tappa importantissima per i bambini che, a causa del Covid-19, viene azzerato. «Avrei voluto festeggiare con gli amici come l’anno scorso ma non è stato possibile perché c’è il coronavirus» racconta Ari che tenta di spiegarmi cosa sia questo coronavirus: «È una cosa bruttissima perché non ci possiamo abbracciare e mi manca tantissimo». Per Christian il coronavirus, oltre ad essere brutto, rappresenta l’obbligo di dover indossare i Dpi: «Ti devi mettere la mascherina, devi lavarti bene le mani e stare lontani».
Accanto alla privazione sociale, i bambini hanno vissuto un clima difficile dettato dalle preoccupazioni dei genitori circa il virus e il lavoro, malgrado gli sforzi profusi per non far pesare troppo la situazione, inventando nuovi giochi, trascorrendo il tempo a leggere o a guardare cartoni e film adatti alle loro età.
Per comprendere meglio cosa provino i bambini, e fornire anche supporto ai genitori e consigli preziosi su come intervenire per evitare la deprivazione sociale, abbiamo parlato con Nicola Malorni, psicologo clinico e analista per infanzia e adolescenza, psicoterapeuta, consigliere comunale di maggioranza al Comune di Termoli e Presidente dell’associazione Kairos.
«Penso in questo momento soprattutto ai più piccoli, ai bambini in età prescolare, ma anche ai bambini più grandi e agli adolescenti, che hanno vissuto per mesi un clima di incertezza e preoccupazione rispetto al futuro dei genitori e della società in genere per la salute e per l’economia – afferma Malorni – E poi i bambini sono cresciuti in questi mesi, hanno fatto delle esperienze ma perlopiù senza altri bambini, senza le feste di compleanno, senza spazi di gioco e, da ultimo, vediamo anche molti genitori di bambini di età prescolare, scuola dell’infanzia, che li tengono a casa per i timori di contagio. Il lockdown, con le scuole per l’infanzia chiuse e i bambini rimasti in casa, ha rappresentato un atto sacrificale collettivo che i nostri bambini hanno dovuto loro malgrado subire».
«Prima di tutto, è stato difficile spiegare ai bambini in età prescolare il perché delle restrizioni e dell’isolamento: a tre anni non è facile capire perché da un giorno all’altro ci si ritrovi costretti in casa – sottolinea Malorni – I bambini in età prescolare hanno subito isolamento senza poter comprendere. Forse qualcuno ha provato a spiegareche fuori c’era un personaggio di fantasia minaccioso, forse anche attraverso il gioco o un disegno, ma qui c’è stato anche il rischio che i bambini abbiano iniziato a vedere il mondo esterno come una minaccia. Ma d’altra parte, abbiamo vissuto una pandemia. È la realtà, ma intanto la mente dei bambini più piccoli ha bisogno di capire ma non era ancora in grado di comprendere compiutamente».
«A questa frattura traumatica della continuità del percorso di sviluppo, si è anche aggiunto che sono mancati esperienze e stimoli sociali fondamentali ritmati dalla normalità: svegliarsi la mattina, prepararsi, essere accompagnati dai genitori, incontrare gli insegnanti e i coetanei. La salute psichica dei bambini è molto legata ai ritmi, alle abitudini, ai riti della vita quotidiana e ai suoi ambienti, per cui, venendo meno questi ritmi bio-psico-sociali, ne è conseguito inevitabilmente disorientamento e insicurezza.
La quotidianità rassicura e conferma i bambini nella loro identità e nella loro storia e nel fatto di vivere in un mondo abbastanza prevedibile. Questo è rassicurante per noi esseri umani. Queste carenze di fattori ambientali di rassicurazione, insieme all’assenza di altri stimoli importanti (il confronto con altri bambini, i giochi di gruppo, le attività scolastiche), hanno creato una vera e propria sindrome di deprivazione sociale per i nostri bambini. Ma soprattutto per quei bambini molto piccoli che non sono ancora in grado di prefigurare il proprio futuro e immaginare come funziona il mondo.
Sappiamo che, durante il periodo della pandemia circa il 30% dei bambini ha avuto difficoltà e disturbi della regolazione emotiva, disturbi del sonno, irritazione, alti e bassi dell’umore, fino a comportamenti di opposizione, crisi di rabbia, ecc. Il cervello dei bambini è ‘plastico’, quindi è chiaro che con la ripresa della vita normale molti di questi disturbi passeranno, ma una parte relativamente consistente delle difficoltà resterà», ha aggiunto Malorni.
Come reagire a tutto ciò per aiutare bambini e ragazzi a soffrire meno?
«Nei più piccoli è fondamentale assicurare una buona integrazione io-Sè: andare a scuola, implica attività che mettono al centro corpo e motricità. Nei primi anni di vita la consapevolezza corporea è fondamentale perché non rappresenta un semplice esercizio fisico, ma un modo per entrare in rapporto con gli altri e per conoscere il mondo, ma anche il proprio Sè corporeo.
Inoltre l’incontro coi coetanei crea possibilità di mentalizzazione, ovvero di comprensione del punto di vista altrui e di costruzione di una teoria della mente degli altri. Il rischio generato dall’isolamento pandemico è che i bambini siano più concentrati su loro stessi. Con la crescita, questo può tradursi in un atteggiamento maggiormente egocentrico da parte dell’individuo.
Fino ai 3 anni, i bambini hanno colto di più il cambiamento dei ritmi quotidiani, hanno capito che il mondo esterno non era più raggiungibile, vivendo la condizione a livello implicito: lo hanno percepito, senza esserne consapevoli. I più grandi, invece, hanno percepito gli stati di animo e le emozioni dei genitori, assorbendone ansie, incertezze, timore del contagio.
Perciò, per quanto possibile, bisogna fare in modo che i bambini in età prescolare frequentino la scuola dell’infanzia, anche se molti sono preoccupati per il contagio e preferiscono tenere i bambini a casa. E poi bisogna accordarsi con altri genitori, favorire gli incontri tra i piccoli per salvaguardare la loro vita sociale. Il privato sociale dovrebbe anche farsi carico di queste condizioni di povertà educativa cui siamo tutti indiscriminatamente esposti».