Corte dei Conti ribalta la sentenza sull'ex consigliere, non dovrà più risarcire il Comune

Inversione a U lun 08 agosto 2022
Attualità di La Redazione
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​Corte dei conti ©Report Difesa
​Corte dei conti ©Report Difesa

TERMOLI. Inversione a U alla Corte dei Conti. Con sentenza 320/22 del 15 luglio scorso si ribalta completamente la vicenda di un ex consigliere comunale di Termoli, che solo il 22 ottobre 2020 era stato condannato sempre dalla magistratura contabile a risarcire 88.365,30 euro, oltre alla rivalutazione monetaria e agli interessi dalla data della pubblicazione della sentenza fino al soddisfo al Comune di Termoli. Al centro della vicenda l'esposto partito su alcuni rimborsi ricevuti dall'ex amministratore, su cui ha indagato la Guardia di Finanza.

Rimborsi alla società di cui il condannato era socio al 99%, era procuratore generale e anche direttore generale, con rapporto di lavoro dipendente maturato dal 23 giugno 2014. Un rapporto di lavoro impugnato e contestato dalla Procura regionale, poiché instaurato solo per avere i rimborsi dal Comune di Termoli. In effetti, le indagini hanno documentato come la società sia stata sempre di proprietà del 99% dell'ex consigliere. Dal 2010, anno di ingresso nell'assise civica, venne nominato un amministratore unico.

In appello, la Corte dei Conti ha confutato la decisione del primo giudice, che ha fatto leva sul fatto che era stata deliberata dall’assemblea dei soci il 23 giugno 2014, ossia a distanza di poco più di un mese dalla nomina a consigliere comunale di Termoli avvenuta il 25 maggio 2015. «Trattasi di un’impostazione affatto persuasiva.

Così opinando, si deve osservare come gli elementi ritenuti sintomatici della responsabilità erariale ravvisata dal primo giudicante si infrangono contro la solidità delle deduzioni formulate dal giudice penale favorevoli all’esistenza del rapporto di lavoro, deduzioni basate sugli atti di quel procedimento e che erano invero presenti anche nel fascicolo del giudizio celebratosi in primo grado. Ci si riferisce, in particolar modo, all’accertamento condotto dalla Direzione territoriale del lavoro di Campobasso e compendiato nella relazione datata 14 dicembre 2017. Trattasi di un documento ritenuto dirimente dalla Corte d’appello penale e che non può non assumere anche in questa sede la stessa valenza, posto che lo stesso ha consentito di accertare il versamento, da parte della società in questione, di complessivi euro 103.663,00 a titolo di contribuzione previdenziale in favore dell’appellante, circostanza oggettivamente deponente a favore di un reale rapporto di lavoro.

Tale aspetto della vicenda non è stato affatto valutato o, quantomeno, non è stato oggetto di puntuale motivazione da parte del giudice di prime cure, il quale si è, infatti, limitato a “prendere atto del parere reso in merito dai funzionari della D.T.L. di Campobasso”; sotto questo profilo, la censura di parte appellante secondo cui la sentenza impugnata si era basata sulle sole prospettazioni dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate e non anche su quelle dell’Ispettorato del lavoro, deve ritenersi all’evidenza fondata. Inoltre, anche per ciò che concerne la problematica dei poteri gestori derivanti dalla procura conferita, atto che, come detto, ha assunto un valore indiziario ai fini della responsabilità erariale riconosciuta a suo carico, va osservato, in condivisione con quanto evidenziato dal giudice penale, che pur in presenza delle indubbie potestà decisorie che l’appellante vantava all’interno della società, nondimeno ampi poteri gestionali li esercitava un altro soggetto, come quello dell’acquisizione/cessione di immobili della società, poteri chiaramente tipici della qualità di procuratore in capo all’amministratore. In considerazione di ciò, ben si comprende come nessuna efficacia dirimente verso l’inesistenza del rapporto di lavoro possa attribuirsi al fatto cheil terzo fosse a sua volta lavoratore dipendente di una società terza, oppure che l’attività svolta all’interno della società fosse prestata a titolo amicale.

Ancora e soprattutto, non si può non considerare la circostanza, anche questa evidenziata dal giudice penale nella citata sentenza d’appello, che la spesa sostenuta dalla società per pagare il trattamento retributivo a suo favore fosse di entità superiore alle entrate derivanti dai rimborsi effettuati dal Comune di Termoli, sicché appare inconfutabile che, se il rapporto di lavoro fosse stato stipulato al solo fine di trarre un illecito profitto a carico delle finanze pubbliche, la cifra versata dall’ente locale avrebbe dovuto essere almeno pari all’uscita sostenuta dalla società ma non certo inferiore. Né potrebbe diversamente opinarsi sulla base della considerazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale i contributi previdenziali versati a favore del consigliere non sarebbero rimasti “infruttuosi” giacché in grado di generare, “in prospettiva, il diritto alla percezione di una pensione da lavoro dipendente”. Trattasi di affermazione che, lungi dal fare emergere elementi di non veridicità della veste di dipendente assunta dall’interessato, sul piano logico prima ancora che giuridico potrebbe al più deporre per l’esatto contrario, ossia che tra l’appellante e la società di riferimento, invero fosse in atto un rapporto di lavoro subordinato durante il periodo compreso tra il luglio 2014 e il febbraio 2017».

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