«Ormai nessuno li potrà più vedere nel Castello»
TERMOLI. Negli anni 1907-08 Artur Haseloff ha visitato il Castello di Termoli lasciandone una descrizione dettagliata [1]. Tra le altre preziose osservazioni fa riferimento a “i numerosi graffiti, il più antico dei quali porta la data del 1585”.
I graffiti son stati riscoperti in occasione del cantiere di restauro [2] che ho condotto a metà degli anni ’90 quando anche i due vani inferiori del torrione sono stati oggetto di una campagna di pulizia e consolidamento [3]. Limitati saggi di asportazione di un intonaco più recente hanno evidenziato che vasti tratti di un antico intonaco graffito risultavano ancora coperti. Si è scelto di non metterli in luce adottando una procedura di cautela visto che le parti in vista erano sufficienti per dare una buona idea dell’esistente proteggendone il potenziale futuro.
Erano evidenti su tutte le pareti alcune scritte la cui interpretazione è stata rinviata a una campagna successiva di indagini. Sulle pareti dell’arco centrale (testimonianza dell’originario muro di refend normanno?) c’erano i graffiti più importanti. Se quelli superstiti sulle pareti del primo vano erano di non facile riconoscibilità, e quindi ancor più meritevoli di attenzione, quelli dell’altro vano erano perfettamente visibili anche da parte di un osservatore poco attento. In particolare c’erano:
- la data del 1585 con la data “primo de gennaro” e alcuni nomi;
- simboli araldici (?);
- un cervo o altro animale con corna;
- diverse iscrizioni (riconoscibili alcune invocazioni);
- una nave con numerose sartìe (ancora parzialmente coperta);
- una torre sezionata. Questo graffito aveva un particolare valore documentario perché rappresentava la sezione verticale di una torre a piani sovrapposti raggiungibili con scale a pioli attraverso le botole nei solai. Le campagne di rilievo che abbiamo finora eseguito hanno accertato che si trattava della rappresentazione proprio del torrione superiore del Castello prima dei lavori per l’alloggiamento della Stazione Meteo, avvenuto agli inizi del ‘900, quando è stata istallata una scala in muratura.
In occasione del sopralluogo finalizzato a una nuova campagna fotografica ho potuto accertare che le pareti dei due vani sono state “grattate” asportando tutte le tracce degli antichi intonaci con i graffiti. Le pareti sono state rintonacate distruggendo totalmente un documento storico importante per la storia del Castello (ancora più importante perché rara traccia in un monumento ripetutamente manomesso) impedendo di fatto ulteriori utili indagini.
A settembre mi è parso doveroso segnalare l’accaduto al sindaco e al Soprintendente ma non so se questo deplorevole episodio abbia provocato qualche preoccupazione. È deplorevole non solo per la perdita ingiustificabile di un “documento” storico ma soprattutto perché, se non chiaramente disapprovato, di fatto, questo modo di fare viene tacitamente legittimato. Un intervento di restauro (ma in questo caso mi rifiuto di definirlo restauro che, invece, vorrebbe ben altre attenzioni e competenze) oltre a tutelare direttamente i “monumenti” deve svolgere un ruolo di strumento educativo, suggerendo maggiori attenzioni da parte di una Comunità consapevole del proprio patrimonio culturale e impegnato a tutelarlo.
Gli studi locali devono partire da analisi sui dati reali; anche se frammentati possono dare ancora ricche e inedite indicazioni capaci di chiarire meglio le dinamiche passate e suggerire nuove chiavi di interpretazione capaci di confermare o ribaltare le conoscenze fino ad un certo punto acquisite. A condizione, ovviamente, che almeno una parte dei documenti sia disponibile “in originale”.
[1] A.Haseloff, Architettura sveva nell'Italia meridionale, Bari 1996 (orig. 1920).
[2] L.Marino, Il Castello di Termoli alla luce dei recenti restauri. Nota sui materiali e le strutture, in C.D.Fonseca (ed), “Castra ipsa possunt et debent reparari”, Roma 1998; L.Marino, Il Castello di Termoli, Verona 2004.
[3] Pulizia e consolidamento eseguiti da tecnici della Cooperativa Archeologia di Firenze che sono intervenuti anche sui disegni a carbone della cisterna inferiore.
Luigi Marino, docente accademico e architetto