Crediti per quasi due milioni di euro vantati dall'Acea, ma al Tar Molise primo round al Comune

Braccio di ferro lun 12 febbraio 2024
Attualità di La Redazione
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Acea Termoli ©TermoliOnLine
Acea Termoli ©TermoliOnLine

TERMOLI. Quasi due milioni di euro di crediti che secondo l’Acea Molise srl, già Crea Gestioni srl, sono stati maturati tra il 2012 e il 2015, al centro di un decreto ingiuntivo del 2020 a carico del Comune di Termoli.

Di questo si è discusso nell’udienza pubblica dello scorso 22 novembre 2023 al Tar Molise. Credito vantato dalla concessionaria del servizio di gestione delle condotte fognarie e degli impianti di depurazione del Comune di Termoli, da essa quantificato nella somma di € 1.972.765,09, pretesa a titolo di maggiori costi sostenuti relativamente alle annualità 2012, 2013, 2014 e 2015. Il giudizio monitorio all’uopo attivato era stato originariamente incardinato innanzi al Giudice Ordinario. Il Tribunale di Larino con la sentenza n. 238 del 5 luglio 2019 ha però revocato il decreto ingiuntivo n. 448 del 22.12.2017 precedentemente emesso, “in ragione del difetto di giurisdizione del Giudice ordinario a favore del Giudice amministrativo”: ciò sul rilievo che “facendo applicazione delle massime consolidate in tema di riparto di giurisdizione in tema di concessione di servizi e corrispettivo (…) può dirsi che, nel caso di specie, giacché la determinazione del corrispettivo dipende da una variabile, quella del costo, strettamente legata a valutazioni discrezionali dell’ente comunale. Sulla scorta di tale indicazione la società Crea Gestioni s.r.l., oggi Acea Molise s.r.l. instaurava un nuovo procedimento monitorio con ricorso per decreto ingiuntivo del 14.01.2020, invocando l’emissione dell’ingiunzione di pagamento nei confronti del Comune di Termoli della somma di € 1.972.765,09.

L’Amministrazione, secondo l’esposizione del privato, nonostante i numerosi solleciti e la puntuale trasmissione delle rendicontazioni annuali di gestione non avrebbe difatti mai riequilibrato la differenza (in perdita) tra costi e ricavi, facendosi carico del pagamento della relativa quota integrativa. Per l’amministrazione comunale una richiesta che mostra “infondatezza della pretesa nel merito”, contestando la genericità delle fatture sulla cui base è stata concessa l’ingiunzione giudiziale di pagamento, tale da non lasciar comprendere a che titolo i maggiori costi sarebbero stati sostenuti; della carenza dei requisiti di liquidità, certezza ed esigibilità del credito vantato, in quanto l’intervento pubblico di riconduzione ad equilibrio previsto dalla Convenzione non avrebbe comportato per ciò stesso e automaticamente l’esistenza di corrispondenti poste debitorie da adempiere da parte della concedente, bensì era incentrato su una preliminare procedura di documentazione, verifica ed approvazione dei costi sostenuti. L’Acea, costituitasi in giudizio in resistenza al ricorso, ha insistito sull’esistenza del credito da essa azionato, deducendo di avere diritto, in base alla Convenzione, oltre che all’incameramento dei canoni e delle tariffe poste a carico degli utenti finali (ex art. 26), anche a ricevere dall’Amministrazione il pagamento della quota corrispondente all’eventuale differenza negativa tra costi e ricavi di gestione: e questo, appunto, in ragione della disposizione di cui al secondo periodo dell’art. 27 della Convenzione, secondo cui “se per ipotesi i costi di gestione dovessero superare i ricavi, il Comune provvederà al riequilibrio, previa verifica sui costi documentati”.

A riprova dell’esistenza del proprio credito, la società opposta ha prodotto in giudizio le copie delle fatture relative alle spese sostenute nel corso degli anni 2012, 2013, 2014 e 2015, unitamente ai rendiconti annuali periodicamente trasmessi al Comune e alla relazione contabile illustrativa del complessivo saldo negativo di gestione. Secondo la tesi dell’Acea, dalla documentazione così prodotta emergerebbero tutti i presupposti e quindi la doverosità dell’intervento correttivo pecuniario del Comune di Termoli, da ritenersi senz’altro direttamente obbligato a corrispondere alla concessionaria una somma pari alla differenza tra i costi e ricavi di gestione della medesima. Sarebbero, per il resto, pretestuose le censure appuntatesi sull’insufficiente documentazione dei costi, essendosi la concessionaria resasi disponibile a fornire la documentazione contabile del caso, come si evincerebbe dalla corrispondenza risalente al maggio del 2016. La difesa comunale, di contro, con la memoria di replica del 31 ottobre 2023 ha ribadito che, non essendole stata consentita la previa verifica dei costi documentati, non si sarebbero concretizzati i presupposti per il sorgere del diritto di credito vantato dalla concessionaria. Ha ulteriormente argomentato sulla corretta interpretazione del concetto di “riequilibrio”, osservando, in antitesi rispetto alle deduzioni avversarie, che col detto articolo, quando si evoca un intervento in funzione di riequilibrio, si parla in realtà “non già di pagamento diretto della differenza, come vorrebbe far intendere controparte, proprio perché, una volta noti e verificati gli elementi di costo della gestione, l’Amministrazione avrebbe dovuto procedere al riequilibrio mediante ulteriori aumenti tariffari nei confronti dell’utenza; tariffa che, all’epoca della stipulazione della convenzione. 

Ha concluso la difesa comunale che la fonte convenzionale richiamata non darebbe fondamento alla pretesa dell’Acea, poiché in nessuna sua parte conterrebbe una disposizione univoca nel senso di imporre in capo all’Amministrazione la specifica obbligazione di corrispondere un contributo finanziario a copertura diretta dell’eventuale gestione in perdita del servizio, dovendosi invece ritenere che il previsto “riequilibrio” debba essere comunque perseguito, nei casi indicati, sul diverso versante della rideterminazione delle tariffe applicate all’utenza. Con la precisazione finale che tale rideterminazione finale non sarebbe più da tempo di competenza comunale, per avere trasferito all’Arera competenze ad intervenire sulle tariffe in questione. Per i giudici del Tar Molise, il ricorso in opposizione è fondato, e il decreto ingiuntivo in epigrafe va pertanto revocato. Il Collegio ritiene che colgano nel segno le obiezioni sollevate dall’opponente avverso la fondatezza della domanda di pagamento avanzata da controparte (per la somma complessiva di € 1.972.765,09, per i maggiori costi sostenuti dalla concessionaria nella gestione del servizio negli anni 2012, 2013, 2014 e 2015), e a suo tempo accolta con il decreto monitorio. Il diritto di credito vantato dall’Acea deve infatti essere reputato insussistente: in primo luogo, per la discrezionalità che, secondo quanto già osservato dal Tribunale di Larino, connoterebbe le valutazioni esperibili dal Comune in ordine al “riequilibrio” attraverso la previa verifica dei costi documentati, in secondo luogo, in ragione della presenza di solide basi normative (per l’illustrazione delle quali si rimanda al successivo paragrafo 15) a sostegno dell’interpretazione della clausola convenzionale per cui i poteri amministrativi di riconduzione ad equilibrio sarebbero comunque circoscritti alla dimensione pubblicistica della rideterminazione delle tariffe da applicare agli utenti; in terzo luogo, per non avere l’Acea adempiuto ai propri obblighi di previa documentazione dei costi di gestione, sì da non consentire all’Amministrazione di espletare le sue necessarie verifiche sulla effettività e congruità dei costi stessi, prodromiche all’eventuale attivazione del meccanismo di ripristino dell’equilibrio.

Ne consegue che nell’art. 27 della Convenzione non può rinvenirsi la fonte dell’obbligazione pecuniaria che l’Acea assume gravare sull’Amministrazione comunale per il sol fatto che i costi di gestione da essa unilateralmente indicati fossero risultati superiori agli introiti: e questo soprattutto perché l’Amministrazione -come ha già rilevato il Tribunale di Larino- non aveva ancora potuto compiutamente esercitare i propri poteri di verifica, avendo comunque già a un primo esame contestato la congruità dei documenti di costi trasmessi dalla società. Al riguardo il giudice civile ha, appunto, osservato che: «il diritto al riequilibrio del corrispettivo, senza dubbio afferente una pretesa sostanziale volta al ripristino della controprestazione a fronte del servizio espletato ed incidente sul sinallagma contrattuale, è strettamente connesso, nel caso che qui occupa, alla esatta ricostruzione dei costi – nei termini come sopra descritti- i quali sono fermamente contestati dal Comune, avendo l’ente versato in atti varie richieste di rendicontazione rimaste inevase da parte del gestore, così omettendosi ogni controllo circa la tipologia del costo sostenuto - eventualmente “abusivamente” sostenuto perché in spregio ad ogni necessaria valutazione in merito della pubblica amministrazione.

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