La devozione di San Giuseppe: un vero tesoro tra religione, storia e tradizione
TERMOLI. A Termoli, ma un po' in tutto il Molise, fremono i preparativi, già da qualche giorno, per la Festività di San Giuseppe. La festa in onore del Santo si celebra il 19 marzo. Fino al 1976, il 19 marzo era considerato festivo anche agli effetti civili (non si andava a scuola), fino alla soppressione avvenuta l’anno seguente, con la legge n. 54 del 5 marzo 1977. Nei vari paesi molisani, i preparativi per il Convito sono già iniziati, in particolare per la Tavola di San Giuseppe e della Devozione. Nei vicoli dei nostri borghi, è facile incontrare donne, indaffarate, che indossando il tipico grembiule da lavoro, “u zenàle”, e si adoperano nell’approntare tutto l’occorrente, attrezzature, materie prime, ingredienti, e prodotti della cucina locale necessari alla preparazione, rigorosamente secondo tradizione, delle 13 pietanze del convivio.
La Festa e il culto di San Giuseppe ha una lunga tradizione è una festa che si celebra nel mese di marzo, forse potremmo dire, che si festeggia qui in Molise quasi da sempre. Ci piace pensare che questa festa che ricorre in primavera ha origini lontane nel tempo e legate alla nostra regione. In origine, la festa, probabilmente veniva celebrata con altri riti e dedicata ad altre divinità. Infatti, fin dall’antichità, i nostri avi, i Sanniti celebravano un rituale in primavera, il “Ver Sacrum” la “Primavera Sacra, un rituale arcaico, e durante le celebrazioni di questa festa venivano offerti in sacrificio alle divinità, oltre ad animali, anche i prodotti legati alla stagionalità, in primis il grano, cereale per antonomasia, la cui semina avviene dall’autunno alla primavera (in alcune aree del Mediterraneo), per poi essere pronto nella stagione successiva.
La primavera è la stagione del risveglio della natura, della rinascita e della fertilità dei campi. Una particolare testimonianza potrebbe essere contenuta nella Tavola Osca, quella stessa tavola rinvenuta tra Capracotta ed Agnone, che tratta proprio dei culti in onore di Cerere (in latino) o Kerres (in osco), la Dea della terra e della fertilità. Cerere era un'antica divinità latina delle messi e dei raccolti, associata al culto della Terra Madre. Secondo la traduzione del Prof. Adriano La Regina (archeologo di fama internazionale), si tratta del calendario rituale collegato al santuario di Kerres, mentre, secondo il Prof. Aldo Luigi Prosdocimi (dell’Università di Padova), è l'elencazione delle stazioni di una processione che avveniva all'interno di uno stesso santuario. Mentre riscontriamo nel volume, della già docente e ricercatrice, Paola Di Giannantonio, dal titolo “La Tavola Osca di Capracotta/Agnone e la celebrazione dei cereali”, edito da Cantieri Creativi, febbraio 2024, che : “Si svolgevano in primavera, l’inizio dell’anno osco, i primi tre riti nominati nella Tavola ai quali sono dedicati i primi tre statif, gli altari dell’hurz: quello del cibo vezkei statif, quello dell’acqua evklui statif e quello del pane, il frutto del grano, futrei kerriiai statif. Incredibilmente, altari con sopra i cibi e le primizie della terra in primavera sono presenti e venerati ancora oggi in numerosi paesi del Basso Molise, il territorio dei Sanniti Frentani, in occasione della Festa di San Giuseppe”.
Il culto religioso di San Giuseppe, nel cattolicesimo, lo ritroviamo presso gli Evangelisti, viene menzionato da Luca e Matteo.
Il culto di San Giuseppe era già praticato nell’Alto Medioevo. Nel XV secolo, il culto del santo viene introdotto da papa Sisto IV che a lui consacra il 19 marzo, il giorno in cui morì San Giuseppe padre di Gesù, e da qui, con molta probabilità nasce, anche l’ida della festa del papà. Secondo la Prof.ssa Gianfranca Ranisio (professore ordinario di Antropologia Culturale presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell'Università di Napoli Federico II) “…dal sec. XVII, il culto di S. Giuseppe si sviluppa maggiormente e riceve nei secoli successivi notevole impulso sotto il pontificato di Pio IX e dei suoi successori”.
A seguito di un autentico miracolo avvenuto nel marzo del 1888, per intercessione di San Giuseppe, nella famiglia dei Fondatori del Santuario di Pompei (Bartolo Longo e Maria e De Fusco): la guarigione istantanea di Giovannina, figlia della Contessa Marianna De Fusco, nasce a Pompei il culto di San Giuseppe. Il 15 agosto1889, con l’enciclica Quamquam pluries, Leone XIII esortava i fedeli di invocare il Santo durante il mese di ottobre aggiungendo al Rosario la preghiera da lui composta << A te, o beato Giuseppe>>. Inoltre proponeva di dedicare al Santo tutto il mese di marzo. Bartolo Longo volle che nel Santuario di Pompei si sviluppasse un’autentica devozione a San Giuseppe. Grazie a Bartolo Longo venne alla luce il volumetto: << Il Mese di marzo in onore di San Giuseppe>>.
Il culto e la festa di San Giuseppe sono presenti in molti paesi nella tradizione popolare meridionale.
Nella tradizione molisana, il significato che ci suggerisce la festa di San Giuseppe lo ritroviamo in un brillante ed illuminante contributo che ci viene offerto da Enzo Nocera: “è quello della persistenza del legamene profondo che il popolo ed i contadini hanno con le solennità liturgiche e con le scadenze stagionali, coincidenti con i grandi cicli agricoli e pastorali. Nei giorni della Festa di San Giuseppe, più che in altre occasioni, il riunirsi per celebrare pubblicamente una ricorrenza, ha una funzione socializzante, aggregante e coinvolgente, in un periodo dell’anno – quello della Quaresima – che induce alla penitenza, alla riconciliazione ed alla espiazione di peccato per placare la propria coscienza. ” questo scritto è riportato, dall’autore Enzo Nocera, nel libretto dal titolo “Il “Convito” e la “Devozione” di San Giuseppe nella tradizione Molisana”, edizione Enne 1998
Nei ricordi di un sessantenne, che qui scrive, la celebrazione della festa in onore di San Giuseppe, riporta il suo pensiero al suo fantastico paese dei balocchi, la Casacalenda degli anni ’70, il profumo delle pietanze, e l’odore tipico, che persisteva durante quel periodo, della frittura delle screppelle o dei cauciuni, e il suo profumo si propagava nell’aria come un arcobaleno di sapori. In quei giorni, il rincorrersi dei ragazzi, tra urla e schiamazzi, si univa al vociare delle donne, nei pressi del forno di Piano San Giovanni, segno che i preparati per la festa di San Giuseppe erano ormai iniziati da almeno qualche settimana. Il Piano di Mascio, il largo davanti al forno, (come comunemente veniva indicato il Largo di Piano San Giovanni), era ricco, pregno di quel buon profumo di pane, delle panettèlle (piccole pagnotte), che inebriava i vicoli, i larghi e le piazze, in ogni dove, il profumo di pane regnava sovrano. Il pane fatto con la farina di grano locale, rigorosamente coltivato nell’agro di Casacalenda, il grano duro, qualità senatore Cappella, con le tipiche ariste (filamenti neri).
Una qualità di grano che ha una minore presenza di glutine, un rapporto equilibrato tra amido e glutine, risultando più digeribili e limitando lo sviluppo di intolleranze. Il grano che coltivava mio nonno e in parte ha coltivato anche mio padre. Il grano che rendeva orgogliosi i contadini sia per la qualità che per il ricavato. Ancora una volta erano i contadini, i coltivatori o se preferite gli imprenditori agricoli, che provvedevano con la loro fatica ad assicurare la bontà del prodotto, il grano, che può ben rappresentare, l’elemento principe della Festività di San Giuseppe.
La Festa di San Giuseppe, mi ricorda il mio compito nella distribuzione delle Panettelle. La devozione in famiglia è stata sempre presente. I miei nonni anticamente provvedevano in proprio a fare la Tavola di San Giuseppe, nella cucina a Piano terra in Vico Galvani, poi con l’avanzare dell’età, hanno continuato, la loro devozione verso il Santo, con la distribuzione delle Panettelle, a cui ogni anno orgogliosamente partecipavo attivamente. Poco più che bambino, insieme a mio nonno materno, Pietracupa Giuseppe, presso la sua abitazione, al civico n. 4 in vico Volta (nei pressi del piano di Mascio) provvedevamo alla distribuzione del pane in onore del Santo. La benedizione delle panettèlle, avveniva il 19 marzo, alle 9 del mattino, puntualmente arrivava a casa nostra, il parroco della Chiesa del Carmine, don Michele Di Lazzaro accompagnato da due chierichetti, le pagnottelle poste in fila in larghe ceste fatto a mano, disposte sul tavolo, sotto al quadro di San Giuseppe, stavano in ordine come uno schieramento di soldati, pronti per la rassegna. Don Michele iniziava la breve ma significativa Cerimonia di benedizione, e al temine del rito benediva il pane e tutti i presenti nella stanza delle grandi occasioni, ben arredata e accogliente, posta nei pressi dell’ingresso. Uno schieramento di pane che mi divertivo a mettere in fila, e solo dopo questa benedizione, si poteva procedere a consegnare in dono, attraverso la tanto attesa distribuzione, delle tante agognate panettèlle.
Poco distante dalla casa di mio nonno, la famiglia Sticca continuava la Devozione della Tavola di San Giuseppe. A Casa di “Zi Cuncittina a Sticca”, (Maria Concetta Vincelli ved. Sticca), da alcune settimane prima della festa iniziava con il via vai di donne e ragazze, tutte in grembiule e grembiulini, erano le vicine di casa o parenti di "ZI Cuncittina a Sticca", che insieme preparavano la mollica di pane soffritta per il piatto forte i maccheroni con la mollica (la mollica, la vera ricetta è segreta, per i cultori della cucina della tradizione, fà la differenza eccome!!!) e si organizzavano squadre di donne, impegnate nel trasportare tavoli, sedie, bicchieri, materiale di ogni tipo, generi alimentari, tutto l’occorrente indispensabile nell’organizzazione logistica e delle vettovaglie per la tavola e il necessario per preparare le 13 pietanze.
Un testimonianza preziosissima ci viene fornita, direttamente, dalla nipote di Zi Concettina Sticca, che vive tutt’ora a Casacalenda, la signora Concetta Sticca che ci elenca a menadito le tredici pietanze della tradizione “A Tavele de San Gesèppe, la quale comprende pietanze, tutte di magro ( a differenza del Patrocinio che si Festeggia il 1° Maggio) e sono categoricamente : 1) arance tagliate a fette condite con olio e zucchero, 2) la tradizionale Composta chembòste ( una composizione di ortaggi con frutta sottaceto, confezionata da mani esperte, fa di questo prodotto una bontà squisita) , 3) legumi lessi, serviti con un filo d’olio a crudo, Fagioli, 4) Ceci, 5) Cicerchie, 6) Piselli, 7) Fave, poi 8) Lumache, 9) Granchi di fiume, 10) Riso condito con olio fritto, 11) Cime di rape e baccala rrachenate, 12) Maccheroni con la mollica (2^ tavolo anche maccheroni con il pesce), 13) frutta (mele o arance) ed in fine dolci tipici della tradizione di San Giuseppe, caveciune e screppelle”.
I festeggiamenti in onore di San Giuseppe iniziano la sera del 18 marzo, quando nel fare visita agli altari, adornati e pieni di cibo, si cantano le litanie e al termine al termine delle quali viene offerta la pezzènde, vari legumi (cotti tutti in una pignata) conditi con olio d’oliva extravergine (rigorosamente prodotto in loco).
I conviti di San Giuseppe sono composti da due tavole, la 1^ Tavola dove sono seduti, a capotavola la Sacra Famiglia, costituita da un bambino (che rappresenta Gesu’) con ai lati un signore anziano (‘u viécchie che rappresenta San Giuseppe e una signora anziana (‘a vècchie che rappresenta la Madonna), a seguire tutti i bambini che rappresentato gli Angeli. La 2^ Tavola dopo circa due ore, viene allestita per tutti. Tutti possono partecipare al convivio senza invito e come ci indica l’ing. Antonio Vincelli, nel suo preziosissimo libro “Tradizioni e rituali a Casacalenda, edizione 2005, “si presentano nella casa salutando i padroni e tutti gli altri con l’espressione “Gesù e Maria” (ggéssemèrije); sono ben accolti e ricevono come risposta “Oggi e sempre” (ggéssèembre).”
Quando la tradizione del Convivio, la Devozione, si fa cultura, ecco che l’estro dell’artista la immortala come se fosse un dipinto, per ancorare la magia del tempo vissuto in un'opera che ne conserva tutti i sapori e i colori. Un vero caleidoscopio che ci riporta alla mente le nostre antiche radici ricche di emozioni e momenti vissuti di sana aggregazione e convivialità. Tutto questo accade a Casacalenda, e l’autore probabilmente, viene ispirato magicamente dalla forte tradizione, e qui il Convivio viene rappresento in una meravigliosa ode dialettale dal titolo “A Tavele de San Gesèppe”, scritta dalle sapienti mani del casacalendese, maestro, scrittore, poeta e folklorista, Giovanni Cerri, autore della musica e il figlio Remo, solo per noi ci viene recitata questa poesia a memoria dalla Sig.ra Marga Di Lalla di Casacalenda, impegnata da sempre nell’organizzazione di diverse Tavele de San Gesèppe, oltre che a produrre con il suo forno a legna, il pane per la mollica indispensabile per condire i maccheroni con la mollica.
Il convito e la devozione di San Giuseppe che ha conservato elementi importanti della tradizione in Molise sono: Baranello, Bonefro, Campochiaro, Casacalenda, Castelbottaccio, Castellino del Biferno, Castelmauro, Civitacampomarano, Fossalto, Gambatesa, Gildone, Guardialfiera, Jelsi, Larino, Lucito, Lupara, Mafalda, Matrice, Monacilioni, Montaquila, Montelongo, Montorio nei Frentani, Morrone del Sannio, Petrella Tifernina, Riccia, Ripabottoni, Roccavivara, San Felice del Molise, San Martino in Pensilis, Santa Croce di Magliano, Termoli, Toro e Venafro. Mentre a Montecilfone, Ururi, Portocannone e San Martino in Pensilis si registrano le nelle tredici portate di magro le seguenti varianti: i fusilli conditi con mollica di pane sfritto, i legumi lesse, le verdure, il baccalà.
Auguri di buon San Giuseppe a tutti.
Giuseppe Alabastro