Minerva: (Trent’anni e non sentirli), l'epopea della Città dell'Olio nata in Molise
Recensione di Nicola Malorni al cortometraggio di Simone D’Angelo, 2024.
TERMOLI. La lotta all’abbandono dell’olivicoltura attraverso l’oleoturismo e l’olivicoltura sociale, il rilancio del turismo delle radici e il sostegno alla ricerca scientifica sulle proprietà salutistiche dell’olio e degli oliveti per il benessere, sia fisico che mentale, delle persone: sono questi i temi affrontanti quotidianamente dall’Associazione Nazionale delle Città dell’Olio, nata nel 1994 a Larino, nel piccolo Molise, grazie ad un’idea di Pasquale Di Lena, ed oggi diffusa in 18 regioni italiane con oltre 500 soci. Una realtà nazionale cresciuta grazie all’impegno di amministratori e operatori del settore, col crescente interesse di categorie professionali, associazioni ed enti di diversa estrazione: una grande squadra multidisciplinare capace di rivoluzionare, soprattutto in questi ultimi anni, a trent’anni dalla nascita delle Città dell’Olio, il modo di vedere e fare olivicoltura nel nostro Paese.
Chi scrive ha avuto il privilegio di assistere all’anteprima nazionale di “Minerva”, la trasposizione cinematografica di questa straordinaria storia italiana commissionata dall’Associazione Nazionale delle Città dell’Olio a Cortò Factory Image per i festeggiamenti del trentennale: un cortometraggio affidato a Simone D’Angelo, regista e produttore cinematografico, già autore del primo film breve dedicato all’olivicoltura sociale e al turismo dell’olio - Gocce (2021).
È un monologo intimo quello che Simone D’Angelo ha affidato all’attrice Giusy Frallonardo nel ruolo di Minerva, la dea che - conosciuta tra i greci come Atena - ha regalato l’olivo all’umanità; assistiamo ad un dialogo silenzioso che Minerva fa apparentemente con sé stessa ma che, in realtà, grazie al potere amplificante delle immagini, della musica e delle parole sapientemente distillate dal regista, è rivolto a tutti noi e, al contempo, sembra giungere, come un’eco, da oltre 500 amministratori di piccoli comuni della nostra bella Italia: si eleva attraverso le parole di Minerva, infatti, la voce di questa grande famiglia di custodi dei territori, una voce femminile che sembra anche quella della Madre Terra. Ho ripensato perciò ad Anima, l’archetipo che Jung ci ha spesso mostrato nei sogni, nei miti, nella letteratura e nell’arte, la figura femminile che spesso si rivela guida per poeti ed artisti, tra la dimensione cosciente e quella profonda, abissale dell’affettività e del sogno, una voce che penetra nell’intimo racconto di ognuno fino a renderlo collettivo. Ed è così che, muovendosi ancora nell’alveo del mitologema dell’Albero della Vita, Simone D’Angelo rivela con questo ultimo lavoro la funzione potenzialmente trasformativa dell’opera cinematografica che è quella di rendere universali i valori fondativi e creativi di un’Associazione di persone e, in ultima analisi, dell’essere umano.
Sullo stesso registro si colloca anche il commento che l’attrice protagonista ha affidato alla sua pagina Instagram subito dopo la “prima” ad Imola dello scorso 25 ottobre: “Una cultura antica quella dell’olio, che accompagna gesti, territori, arte. Un onore aver interpretato Minerva, la dea che ha donato l’olio all’umanità. Se permettessimo a un giro d’olio di legarci tutti quanti con il suo sapore, di invischiarci con la sua consistenza, di saziarci con i suoi nutrimenti, di contagiarci con la bellezza dell’Ulivo che lo genera, saremmo un popolo più felice”.
Le Città dell’Olio ci stanno provando: esse promuovono, di fatto, la felicità. La Minerva che ha regalato agli esseri umani l’albero “taumaturgo”, capace di lenire le ferite del corpo e dell’anima, oggi è chiamata dalle Città dell’Olio ad intervenire per rigenerare territori sempre più spopolati. Saremmo di certo un popolo più felice se riuscissimo a seguire l’esempio di chi ha scelto di donare all’umanità non la forza del comando, né la superbia del potere economico né la ferocia predatoria della guerra (come Poseidone nel mito fondativo della comunità di Atene), ma un mite e resistente albero di olivo, da sempre simbolo di pace e rigenerazione.
“Torna Minerva!” – sembrano chiedere a gran voce tutti gli amministratori delle Città dell’Olio attraverso i codici narrativi di un cinema sociale che con Minerva ha travalicato anche i confini dell’olivicoltura – “torna a casa, a riaprire le porte della memoria, a rianimare i luoghi dell’infanzia, a portare la luce sull’essenzialità dei gesti semplici, a donarci la speranza nel futuro perché, ne siamo certi, saremmo un popolo più felice se, come i saggi Ateniesi, scegliessimo tutti insieme di essere comunità e non avidi divoratori di potere economico, lusso, velocità, affari, dominazioni”.
Ci invitano le Città dell’Olio, attraverso la voce della dea, ad osservare l’olivo come simbolo dell’essere umano, così fragile e forte al contempo; ci invitano a “tornare a casa”, ovvero nella dimora del genius loci - direbbe Pasquale Di Lena riferendosi ai suoi amati olivi che considera custodi dei territori; lì dove dimorano l’autenticità, il ritmo lento e salutare dei gesti semplici, della vita senza affanno, il valore essenziale ( e non economico) di prodotti che fanno bene al corpo e all’anima da migliaia di anni.
Sarà la disinvoltura di Giusy Frallonardo, che tra gli olivi secolari della Puglia ci è cresciuta fino alla scelta del cinema che l’ha vista interprete per registi come Marco Bellocchio (in “Il sogno della farfalla” del 1994) o Cristina Comencini (in “Liberate i pesci” del 2000) o anche Marco Pontecorvo (in “Per Elisa. Il caso Claps”, 2023, Rai Uno) e, da ultimo, Riccardo Donna e Tiziana Aristarco (in “La luce nella masseria”, 2024, Rai Uno). Sarà la maestria di un regista che oserei definire “alchimista” per la confermata capacità di attingere ai codici narrativi profondi del nostro sentire, lo stesso che ha conosciuto Fausto - l’olivo colpito dal fulmine - ed è stato testimone della sua rinascita attraverso l’olivicoltura sociale. Quel che è certo è che i gesti che D’Angelo fa compiere alla protagonista sono espressione di un linguaggio metaforico che coniuga in questo straordinario lavoro la dimensione arborea e quella umana, la dimensione individuale e quella comunitaria, associativa e, in ultima analisi, anche umanitaria: in ogni gesto Minerva incarna le attività e i valori delle Città dell’Olio, come la tutela della biodiversità, la sostenibilità, il benessere, lo sviluppo locale e la lotta all’abbandono degli uliveti. In particolare, la sua scelta di riportare luce in una casa disabitata da tempo rivela in chiave metaforica l’attività di contrasto dell’abbandono e di rigenerazione urbana e ambientale che l’Associazione delle Città dell’Olio compie, attraverso le comunità locali, al fine di preservare un patrimonio naturale e culturale millenario.
Crescono le Città dell’Olio in Italia, con numerose nuove adesioni ogni anno, così come alla festa voluta da Minerva accorrono vecchi e nuovi amici, di età e vissuti diversi, uniti dal valore dell’appartenenza ad una comunità che, sotto l’egida dell’Olivo “Albero della Vita”, ha scelto l’amore per la terra e per le persone.
Ed è per questo che, come gli olivi, anche le persone e le comunità delle Città dell’Olio, “stagione dopo stagione, anno dopo anno” continuano a fiorire. Come la città di Atene è stata capace di accogliere il dono sacro di Atena-Minerva contribuendo a renderlo universale, così trent’anni orsono, un piccolo gruppo di uomini e donne ha fecondato le prime piccole comunità dell’Olio, tra Molise e Toscana, senza porsi limiti, con coraggio e determinazione, fino a dare la voce ad una dea che, grata al popolo che l’ha scelta, conclude il corto con “Ero città dell’olio, oggi siamo città dell’olio”.
Nicola Malorni