«Scandalo a Termoli», a trent’anni dallo scontro sul nuovo orario di lavoro in Fiat
TERMOLI. A trent’anni dallo “Scandalo a Termoli”, la crisi Stellantis di chi è la colpa del disastro? Nel dicembre 1994 una canea nazionale si è scatenata contro gli operai Fiat dello stabilimento di Termoli. Gli operai a maggioranza rifiutarono tramite referendum il nuovo regime di orario di lavoro, rifiutando di sparire come persone e di trasformarsi in pure cifre variabili del profitto dell’impresa.
Governo, Confindustria, Sindacati e media tutti contro gli operai di Termoli Nella cittadina adriatica si tenne una manifestazione, in prima fila il vescovo D’Ambrosio, il sindaco Remo Di Giandomenico e il parlamentare del Pds Giovanni Di Stasi, gli operai vennero accusati di egoismo e essere contro il futuro occupazionale dei propri figli A distanza di una settimana il disonore del sindacato confederale si è consumato nell’aggirare il No pronunciato dagli operai approvando un nuovo referendum farsa i cui si dava via libera all’accordo sui nuovi regimi di orario di lavoro. Dall’applicazione del nuovo orario gli operai che maggiormente si opposero furono colpiti da svariati provvedimenti disciplinari, venne istituito il reparto confino in cui furono trasferiti gli operai più combattivi (una sorte di Palazzina laf termolese) Nel 1995 tutto questo venne portato all’attenzione del Consiglio Regionale del Molise con una mozione presentata dai consiglieri regionali di Rifondazione Comunista e approvata dall’aula Cosi come nel dicembre 1994 all’unisono Confindustria, Cgil, Cisl, Uil, Fiom, Cisal si scagliano contro il Consiglio regionale colpevole solo di aver difeso la dignità e i diritti dei lavoratori A trent’anni dall’imposizione di quell’accordo e dalla “normalizzazione” della fabbrica che è iniziata la definitiva scomparsa della Fiat (oggi Stellantis.
Da quell’accordo è iniziato il processo di “diversificazione” dell’attività di Fiat rispetto alla centralità dell’auto, con una prima attenzione alla finanza e al terziario. Ciò ha significato la fine della ricerca e dell’innovazione dei modelli. In quella fase il capitalismo familiare italiano ha dato la peggiore prova di sé mostrando la totale incapacità di stare sui mercati. In questa fase è iniziata la delocalizzazione, lo spostamento delle fabbriche in zone dove il costo della manodopera era molto basso nell’intento di recuperare competitività solo sul versante dell’abbattimento dei salari, a cui si accompagnavano, in maniera paradossale, i sussidi pubblici. Ha dato il via all’osannata “ideologia” Marchionne, che aveva già fin dall’origine la prospettiva del trasferimento ulteriore delle fabbriche italiane fuori dall’Italia con l’approdo negli Stati Uniti, a cui avrebbe fatto seguito una profonda trasformazione societaria. Ora la fase si chiama Stellantis ed è chiaramente improntata a una logica tutta finanziaria, per cui la resa dei titoli e i dividendi valgono più della produzione stessa.
Certo, questa crisi non è stata raccontata da una parte della stampa italiana. Exor, infatti, tramite il gruppo Gedi, è anche proprietaria di una fetta importante dell’informazione italiana; possiede la Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, Radio Capital, Radio Deejay, e si occupa persino di geopolitica, con Limes. Sempre nel campo dell’informazione, Exor è azionista di riferimento dell‘Economist, cosi come la stragrande maggioranza della stampa locale è stata sempre dalla parte della Fiat e di Confindustria. Ricordare cosa è successo trent’anni fa, aiuta a capire anche la crisi di oggi e gli errori commessi da tanti soggetti in campo…. I sindacati confederali in primis».
Italo Di Sabato