Il disagio figlio di un degrado culturale, "Promuoviamo inclusione e rispetto"
TERMOLI. Riflettori sul disagio che si registra sul territorio. Sintomo di un degrado culturale più ampio, che si manifesta nella sopraffazione, nell’intolleranza e nell’incapacità di costruire una società basata sul rispetto reciproco. Termoli, come molte altre realtà, non è esente da queste dinamiche, nonostante l’immagine di un’isola felice che spesso si tenta di dipingere. Una diagnosi del professor Angelo Malinconico, che trae spunto da quanto accaduto sabato scorso.
Ma cosa si può fare per invertire la rotta?
"Occorre promuovere una cultura del rispetto e dell’inclusione, andare oltre le passerelle e le dichiarazioni di intenti, e agire concretamente per garantire il benessere sociale e mentale. In questa riflessione, la tutela della salute mentale assume un ruolo centrale: senza di essa, non c’è vera salute né una società equa e pluralista".
Il dottor Angelo Malinconico parla di una visione più ampia, partendo proprio dall’episodio che ha visto coinvolto il direttore Emanuele Bracone.
«L’episodio accaduto richiede una riflessione più ampia. Vorrei intrecciare tre temi strettamente legati: il degrado culturale che alimenta eventi di violenza, l’attenzione alla salute mentale nella nostra zona e il progetto Agorà, a cui fai riferimento.
L’evento vissuto non può essere attribuito alla follia, ma a un degrado culturale diffuso, dove la sopraffazione è vista come principio di vita. È fondamentale distinguere tra malattia mentale e pura violenza.
Purtroppo, Termoli non è l’isola felice che qualcuno vuole far credere. Le infiltrazioni mafiose, l’aumento dei furti, gli atti vandalici e di intolleranza lo dimostrano. Non basta rafforzare la presenza delle forze dell’ordine: il problema è culturale. Serve una vera cultura del rispetto e dell’inclusione, che non si limiti a essere evocata solo in occasione di episodi specifici. Inclusione non significa solo fornire pasti a chi è in difficoltà, ma costruire una società che sia realmente democratica e pluralista.
Come afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità, “non c’è salute senza salute mentale”. Io aggiungo che non c’è cultura senza una cultura della salute mentale. Non parliamo di psichiatria come branca medica, ma di tutela della salute mentale come approccio integrato alla società. È un concetto che riguarda le interazioni tra individui, comunità e istituzioni.
Organizziamo eventi come la Festa della 180 a maggio e la Festa della Salute Mentale a ottobre, ma questi devono tradursi in atti concreti. Serve attenzione reale e risorse. In Italia, il budget destinato alla salute mentale è inferiore al 2,7% della spesa sanitaria, nonostante la legge preveda il 5%. Questo dato è emblematico del disinteresse concreto verso il tema.
Troppo spesso noi, che ci occupiamo di benessere sociale e mentale, ci ritroviamo a “cantarcela e suonarcela” da soli. Non ci interessano passerelle o visibilità sui media: chiediamo risorse e azioni concrete. Dove c’è salute mentale, c’è attenzione al sociale. E dove c’è attenzione alla salute mentale, c’è rispetto.
Il terzo tema è il progetto Agorà, nato dall’iniziativa di un gruppo nazionale di cui faccio parte. L’idea è semplice: creare spazi aperti, non confinati nei luoghi di cura come reparti o centri di salute mentale, dove le persone possano incontrarsi e discutere di salute mentale, rispetto e benessere.
Questi gruppi si riuniscono in varie zone d’Italia, coinvolgendo cittadini, associazioni e operatori. L’obiettivo è portare la tutela della salute mentale al centro della società. Non parliamo solo di psichiatria o malattia mentale, ma di un modello culturale di rispetto e inclusione.
Agorà è un’esperienza spesso osteggiata, perché vista come un approccio “romantico” o poco concreto. Ma ben venga il romanticismo, se questo aiuta a costruire salute mentale, cultura del rispetto e benessere per tutti».