Cattedrale di Termoli, viaggio nella storia
TERMOLI. Sui resti della ‘Ecclesia Sanctae Mariae’, risalente a qualche secolo successivo all’Editto di Costantino (313) con il quale veniva riconosciuta la libertà di culto nell’Impero romano, è stato elevato in pieno Medio Evo un altro e più grande tempio la cui cripta ne contiene l’abside e dei mosaici tricromi.
Il Duomo non è soltanto il rilevante simbolo cristiano della Città ma anche un rivelatore indiretto sulla realtà sociale e urbanistica del tempo. Per quanto possa trattarsi di deduzioni esse trovano riscontro nella ricchezza data dall’attività mercantile alla quale hanno dato un inatteso impulso mercanti provenienti dal Tirreno, gli amalfitani e i ravellesi. Essi si trasferirono nella fortezza sul promontorio roccioso ancor prima dell’inizio del XII secolo ed estesero l’attività commerciale fino alle città della costa dalmata. Da allora, e nei secoli successivi alla devastazione della Città da parte dei Saraceni (2 agosto 1566), a testimoniare il tempo del diffuso benessere sono rimasti il Duomo e il Castello mentre i palazzi dei quali ha scritto il Vescovo Giannelli (1753-1768) sono stati ridotti in macerie dai terremoti. Ha resistito ed è giunto fino al XX secolo il Palazzo del Conte, poi Palazzo del Duca padrone (attuale Piazza Giannelli), abbattuto dai Britannici sul finire del 1943.
La Cattedrale, Monumento nazionale dal 9 febbraio 1892, da alcune estati aperta dall’imbrunire alla mezzanotte, può anche essere definita ‘La Perla’ del Borgo dal momento che le persone che se la trovano improvvisamente di fronte rimangono colpite dall’armonica semplice bellezza: uno stupore derivato dopo aver attraversa-to stradine e vicoletti con angoli suggestivi e piazzette con ai lati case decorose ma modeste che non farebbero mai pensare a una tale imponente realtà. Da qui soste, considerazioni e fotografie a non finire da parte di quanti poi si fermano all’ingresso per rivolgere lo sguardo all’interno, tutto di pietra bianca: tre navate definite da pilastri congiunti da archi, il soffitto ligneo che sovrasta la navata centrale, frammenti di mosaici e, per chi vi entra, la cripta con i resti dell’antica chiesa, il sarcofago delle reliquie di San Basso, Patrono della Città e Protettore dei pescatori, rinvenuto il 1 gennaio 1761, e quello di San Timoteo venuto alla luce l’11 maggio 1945 le cui statue troneggiano sulle mensole ai lati del portale ed hanno ai piedi sacerdoti che simboleggiano l’eresia, dalla quale Termoli non venne risparmiata.
L’avere dedicato la Chiesa a Santa Maria della Purificazione sta a ricordare che la Città era stata mondata dalla contaminazione eretica. Fermarsi per ammirare deriva dalla forza di attrazione suscitata dalla bellezza di un’arte corrosa ma raffinata qual è quella della facciata la cui armonia è data dal Portale, dalla Lunetta sovrastante e dalle tre Lunette alla destra di questa e tre a sinistra. Ciascuna di esse poggia su agili colonnine cilindriche che creano uno sfondo nel quale si stagliano resti di bifore che contenevano altorilievi ispirati ad episodi del Vangelo come la Visitazione, la Natività, l’Annunzio ai Pastori e l’Adorazione dei magi.
Se le scritte potevano essere lette da pochi, i messaggi mandati dalle scene scolpite nel marmo delle lunette erano compresi dall’intero popolo e intesi come monito a non lasciarsi catturare dai beni terreni, come i sacerdoti ai piedi dei due Santi. Gli episodi scolpiti convergono verso la lunetta centrale la quale raffigura la Presentazione di Gesù al Tempio. Degli episodi riportati nelle lunette, dopo i roghi saraceni, non è rimasto quasi niente anche per la corrosione causata nel tempo dagli agenti atmosferici. Un’approfondita e documentata storia di questo nostro Monumento la dobbiamo al prof. Luigi Ragni che nel 1907 pubblicò una monografia dal titolo Il Duomo di Termoli. Descrizione del Tempio a parte lo studioso vede negli altorilievi sia la valenza decorativa che le allegorie, ossia moniti e ricompense: gli uomini nudi sono i giusti che si spogliano di tutto ciò che è mondano, i leoni rappresentano la forza del Vangelo, i grifoni simboleggiano l’uomo che dominando le passioni spicca il volo verso Dio. Il capolavoro in stile romanico-pugliese, per quanto riguarda finanziamento, realizzazione e reperimento di mastri che avevano nella testa e nelle mani la creatività dell’artista, lo si deve in maniera prevalente ad alcuni amalfitani e ravellesi i cui nomi (Defilitto, Grimaldo…) sono incisi sulle mensole dell’arcata centrale. In pieno Medio Evo era diffusa la convinzione che impegnare parte della propria ricchezza in costruzioni sacre significava garantire a sé stessi e ai propri congiunti la salvezza eterna. L’artista che lo progettò fu Alfano da Termoli, figlio di Isembardo Alfano di Ravello.
Antonio Smargiassi
Storico termolese e scrittore