"La medusa che suonava il piano", la mostra di Mariangela Regoglioso
TERMOLI. "La medusa che suonava il piano" è la mostra d'arte contemporanea che sarà ospitata al Castello Svevo dal 16 al 18 agosto, protagonista le opere di Mariangela Regoglioso: una storia d'amore con il mare, raccontata dalle pennellate della pittrice e docente del liceo artistico Benito Jacovitti, ideata in collaborazione con Cristian e Serena Musacchio. L'orario di apertura andrà dalle 21 alle 23, con ingresso rigorosamente libero.
La recensione di Alessandra Signorile
«Siamo programmati inconsciamente a tessere storie e ad ascoltarle, non è filosofia; dobbiamo interpretare l’imperscrutabile delle nostre esperienze, piacevoli, dolorose, ma che senza la nostra tendenza mitopoietica inconscia, sarebbero puri frammenti insensati di vita, scorci di caos informe senza significato… E questo sarebbe per noi insopportabile. Dobbiamo dare senso a ciò che sentiamo, proiettarlo, sublimarlo, condensarlo, insomma simbolizzarlo, e quanto più l’esperienza vissuta è intensa tanto più questa esigenza di rappresentazione si amplifica. È una pura predisposizione fisiologica, senza concettualismi, un semplice dato di fatto che il genere umano asseconda da sempre: Siamo necessitati a Significare.
“Sull’inconscio” Jung osservò che ognuno di noi si trova a cavallo fra i due mondi della percezione sensibile e della percezione inconscia “la conciliazione tra verità razionale e verità irrazionale può realizzarsi solo nel simbolo, perché il simbolo contiene, per sua natura, ambedue gli aspetti.” Dagli archetipi nascono le idee che l’artista può tramutare in opere o, comunque, in eventi creativi intrisi di significato. Però non basta maneggiare un simbolo per fare arte, non è sufficiente ordinare la realtà in qualunque forma compiuta di senso per creare un’esperienza estetica. Spetta invece alla sensibilità e alla creatività dell’artista, fare altro, di quei simboli, dopo averli “rintracciati” attraverso una personale indagine introspettiva, per poi farli diventare un grande strumento di conoscenza in chiave appunto artistica.
Questa premessa non pretende di essere una lezione di psicoanalisi per principianti, è piuttosto lo spirito con cui dobbiamo assistere alla mostra di Mariangela Regoglioso, dove si presentano ai nostri occhi, fate, mostri, marini, gabbiani, paesaggi aquatici di un regno fiabesco e soprattutto una medusa dai colori cangianti che a seconda del momento rappresentativo, oscilla tra trasparenza e matericità, come a volersi mimetizzare per assumere gli stessi contorni del sogno in cui vive, come a volersi nascondere dalla realtà: in ogni opera sembra ci sia una medusa diversa, ma è sempre lei la protagonista di una “favola”, che di volta in volta cambia forma, colore, movimento, come a dirci che sta cambiando, sta evolvendo superando gli ostacoli che il racconto impone, fino all’evento finale che inaugura il titolo della mostra: l’incontro con un pianoforte tra i rifiuti nei fondali marini.
L’artista con le sue opere mette in scena un racconto, ogni immagine contrassegna un preciso momento narrativo percorrendo in sequenza evento dopo evento, significato dopo significato fino alla catarsi psicologica finale.
Non si tratta di una banale illustrazione prestata al servizio delle parole di una favola, semmai è il contrario, sono le parole della favola che contornano le immagini…Immagini con una valenza simbolica fruibile a prescindere dalla narrazione concettuale, opere in realtà sensate capaci di autonomia e che se vivono questo affiancamento è semplicemente perché lo vogliono, per puro slancio creativo, non vogliono restare isolate. L’opera realizzata da Mariangela Regoglioso ci invita a una riflessione anche e soprattutto in merito al mondo della critica contemporanea, poiché riesce a superare il vincolo moderno dell’individualismo estetico” cioè della tendenza ancora molto forte di produrre teorie che isolino l’arte pittorica dalle altre e di valutarla confinandola in un regno suo proprio, lontano dalla realtà. Ad accentuare la separazione interviene la confusione dei valori, elementi marginali, come il piacere di collezionare, di esibire, di apparire, che si spacciano a volte per valori estetici. Dice Dewey “Si plaude molto lo stupore che segue all’apprezzamento e ci si compiace per la gloria della bellezza trascendente dell’arte senza prendere in gran considerazione la capacità di percepire concretamente in maniera estetica”. Affinché la percezione sia letteralmente concreta, l’arte pittorica non può essere isolata, bensì va reintegrata nella realtà quotidiana dove i regni creativi sono misti e contaminati tra loro; quando si separa un prodotto artistico dalle condizioni della sua origine e della sua esperienza, si alza un muro che rende opaco il suo significato. Riposizionare l’arte in un contesto umano la avvalora di considerazione popolare suscitando molto più interesse delle teorie basate sull’idea di ambiente artistico come nicchia. La Mostra di Mariangela offre un buon esempio di regni estetici contaminati: immagini, parole, favole, musica, psicologia del profondo; un prodotto che non avrebbe bisogno di recensioni perché perfettamente in grado di veicolare un senso (che sia inconscio o manifesto) fruibile da chiunque si soffermi a guardare la medusa e leggere le parole, senza impalcature concettuali, con la totale ingenuità e stupore che un prodotto d’arte per sua definizione dovrebbe trasmettere.
Il mare è di per sé il simbolo onirico per antonomasia, il viaggio della mente nella sua profondità, la medusa che si addentra nel profondo degli abissi, invita a esplorare la parte più autentica dell'Essere, è uno dei rari animali che non segue una rotta per volontà ma si lascia trasportare passivamente dalle correnti, ci insegna per questo l’importanza di lasciarsi guidare dal fluire della vita senza opporre resistenza.
La fata non è nuova nei lavori della Regoglioso, guida totemica costante che protegge il cammino della medusa con la sua saggezza: le dona un veleno per salvarle la vita, si, perché non c’è evoluzione senza dolore, perché la felicità ha un prezzo. Sempre. Infatti percepiamo direttamente come la medusa (o l’artista) sia dilaniata dalla prima scelta che le tocca fare: rinunciare alla libertà, chiudersi nel suo confort rinunciando alla meraviglia, con la tranquillità senza veleni, o continuare a esplorare i colori della vita ma senza la vecchia innocenza, con quel po' di veleno che le garantisce un minimo di protezione?
Il pianoforte tra i relitti è arte tra i rifiuti, certo perché dove potrà mai trovarsi la creatività se non tra i “rifiuti” ossia tra il rimosso psichico che crea tensione prima di generare soluzione?»