Il dramma di Giuseppe D’Addario rievoca le sanguinose vicende larinesi del 1679-1680
Larino Una rappresentazione scenica tratta da una storia vera
LARINO. L’impulso ad una ricerca da me effettuata nel 2004, su invito degli amici Giuseppe D’Addario e Nicola Lozzi, scaturì dalla constatazione delle molteplici discordanze e lacune riscontrate nei testi di storia che hanno trattato finora l’ormai nota congiura verificatasi a Larino nel 1679, di cui s’appropriò il celebre scrittore francese Alexandre Dumas (père) nel suo romanzo “Un Regno insanguinato” (forse meglio conosciuto col titolo di “La Sanfelice”). Questi, trasponendo i fatti nella seconda metà del secolo successivo, individuò nel bimbo nato in tragiche circostanze e vissuto nella realtà soltanto tre ore, uno dei maggiori protagonisti della sua opera ambientata nel contesto della Repubblica Napoletana del 1799.
Giuseppe D’Addario ne ricavò poi un dramma in due atti dal titolo “Isabella e il Duca…” che, per la regìa di Lino D’Ambrosio, andrà in scena al Teatro “Risorgimento” di Larino il 22 aprile prossimo. L’opera di D’Addario, già proposta nel 2007 prima al “Savoia” di Campobasso o poi allo stesso “Risorgimento” della città frentana, come sottolinea la giornalista Federica Fenaroli, del noto settimanale di Monza “Il Cittadino”, nell’ambito della XVI edizione del Concorso Europeo per il Teatro e la Drammaturgia ‘Tragos’, ha ricevuto una segnalazione speciale, con la premiazione svolta nel giugno 2022 al “Piccolo Teatro” di Milano.
Per descrivere fatti e personaggi che ruotano intorno agli intrighi legati alla congiura del 1679 ed alle vicende successive, mi avvalsi esclusivamente delle ricerche effettuate presso l’anagrafe ecclesiale di Santa Maria della Pietà e di San Pardo in Larino (oggi riunita nell’Archivio Storico Diocesano), con il solo ausilio di alcuni passi di un interessante manoscritto redatto da Antonio (de) Palma, uno dei principali artefici degli avvenimenti.
L’atteggiamento ostile che Francesco Maria Carafa, “Signore” di Larino di quel tempo, mostrava nei confronti di alcune famiglie del posto, determinò prima l’istruttoria di un processo e poi la congiura ai suoi danni che si realizzò nel 1679. La morte del barone, come risulta dall’apposito atto dell’anagrafe ecclesiale, avvenne nel modo seguente (traduzione dal latino): “A. D. 1679 giorno 1 del mese di maggio. L’Ill.mo D. Francesco Carafa, Possessore e Signore di questa Città di Larino, di anni trentacinque […] nel luogo presso il Convento dei Cappuccini, raggiunto da due colpi di archibugio colpito nel petto e nel femore […], nello stesso luogo rese l’anima a Dio […]”. L’agguato in questione, venne così descritto da Antonio (de) Palma: “[…] fu ammazzato D. Francesco Carafa Padrone di Larino da sotto alli Cappuccini con due scoppettate che ritornava da Campomarino in Galessa e si portava con esso 40 Guardiani e l’ammazzò l’Abbate Gaetano Cornacchiello e Raimondo di Raimondo per gran trapazzi ricevuti […] il primo di maggio 1679”.
Antonio (de) Palma, sempre attraverso la sua descrizione, c’informa che, in seguito alla morte del barone, lui insieme alla moglie ed a tutti i “parenti, circa 100 persone, per paura della Corte di Lucera”, si erano rifugiati nel Palazzo vescovile.
Fu proprio durante tale asserragliamento che, quattro mesi e mezzo dopo (il 15 settembre), Isabella Sorella “di età sua di anni venticinque circa, rese l’anima a Dio, nella comunione di Santa Madre Chiesa, di morte violenta, poiché mentre stava nella finestra del Palazzo vescovile dove si dice ‘la Gregoriana’, (fu) raggiunta al volto da un colpo di un archibugio da uno degli armigeri del Padrone che assediavano l’Episcopio […]”; questa è la parte essenziale, tradotta dal latino, ricavata dall’atto di morte, mentre la descrizione parziale che ne fa il marito Antonio (de) Palma è la seguente: “A 15 di 7bre 1679, morì […] Isabella, comf.me i Sig.re Iddio li piacque, disgraziatamente, da uno assassino con una scoppettata in faccia, la q.le era gravida di nove mesi con un figliuolo mosco che io d’oppo morte li togliei la ventre […] e campò tre hore nelle mie braccia […]”.
L’assedio all’episcopio ed alla cattedrale che godevano del diritto di asilo, fu tolto solo dopo la sanguinosa irruzione che i militi della Corte criminale di Lucera decisero di compiere la vigilia di Natale del 1680.
Antonio (de) Palma, marito di Isabella Sorella ed autore del prezioso manoscritto, fu tra quelli che riuscirono a fuggire. Varcò i confini del Regno di Napoli e raggiunse Modena dove, come lui stesso c’informa, si risposò con Anna Antonia Maggio di Sarconi, in Basilicata. Da questo secondo matrimonio vennero al mondo cinque figli tra cui, il 10 luglio 1683, Matteo (Antonio).
Dall’accurata descrizione fatta in occasione del decesso della madre, sappiamo che Antonio (de) Palma, nel 1698 era nuovamente a Larino, dove morì il 2 febbraio del 1711.
Dagli Stati delle Anime si rileva che, nel periodo compreso tra il 1708 ed il 1720, i figli di Antonio che dimoravano nella città frentana erano: Giovanni Battista e Matteo (Pardo Silvestro) della prima moglie; Matteo (Antonio), Giovanni Andrea e Francesco Antonio della seconda consorte.
I discendenti dalle seconde nozze di Antonio (de) Palma con Anna Antonia Maggio, assunsero il doppio cognome di “Maggio Palma” (in seguito trasformato in Maggiopalma). La serie inizia con il loro primogenito Matteo (Antonio), il più noto della discendenza di Antonio (de) Palma che, dal 1758 al 1760, ricoprì a Larino la carica di Mastrogiurato. I Magliano (compreso Carlo, zio dello storico Alberto, che incontrò più volte il Dumas), lo confondono con il bimbo nato drammaticamente da Isabella Sorella e gli appongono il nomignolo di “Matteillo”.
Forse proprio da questo equivoco, sorge anche la fantasiosa ricostruzione del famoso romanziere francese che individua in quel neonato “Il figlio della morta”, l’amante di Luisa Sanfelice ed il vendicatore della madre del romanzo.
Matteo Maggio Palma morì all’età di quasi ottant’anni, il 3 novembre 1762.
Per saperne di più si può consultare il mio Saggio “La congiura del 1679”, Cerit Molise Editore, Larino 2005.
Giuseppe Mammarella