"Pietra d'inciampo", battaglie e deportazione: il ricordo di Giovanni Iannacci a Ururi
URURI. Una giornata dalle grandi emozioni quella che si è vissuta a Ururi in occasione della festa della liberazione con l’installazione della pietra d’inciampo in memoria di Giovanni Iannacci, un ururese di spicco che ha combattuto la guerra ed ha scelto la libertà, la democrazia.
Finalmente un 25 aprile vissuto, non con la solita retorica commemorativa, ma con il ricordo vivo di chi, quella tragedia l’ha vissuta sulla propria pelle.
Perché Giovanni Iannacci non era solo un fine letterato avendo scritto diverse poesie e racconti ma era soprattutto un soldato mandato al fronte, scampato all’eccidio di Cefalonia e poi internato in Germania.
Ed è proprio da Cefalonia che la professoressa Villa è voluta partire per fare un excursus sulla situazione storico-politica di quegli anni, una relazione approfondita e analitica che trascende le nozioni storiche imparate a scuola.
La professoressa ha riconosciuto che l’Italia fino al ’43 era dalla parte sbagliata e riflettere su questo dato mette in luce chi invece seppe stare dalla parte giusta della storia anche a sprezzo della propria vita.
Tuttora, a distanza di ottanta anni, riconoscere da che parte stare, soprattutto per quanto riguarda il periodo della Resistenza, scuote ancora gli animi. Per questo motivo chi invece seppe prendere decisioni difficili merita l’attenzione di tutti soprattutto se coloro che presero quelle decisioni coraggiose erano giovani cresciuti nel culto fascista della guerra, della dominazione dei popoli inferiori. È il caso di Giovanni Iannacci che nasce nel 1917, aveva 5 anni quando avviene la marcia su Roma, la sua infanzia e prima giovinezza si svolgono interamente sotto il fascismo.
Con l’esercito allo sbando, a Cefalonia, sul fronte greco, si decide di resistere e combattere fino alla resa e successiva vendetta tedesca in spregio a qualunque norma di diritto interazionale. I sopravvissuti vengono fatti prigionieri come fu il destino di Giovanni Iannacci catturato il 22 settembre. Per lui il 25 aprile non fu ancora il giorno della Liberazione, ancora sul suolo tedesco nei campi liberati o in procinto di essere liberati.
Dopo l’esaustivo quadro storico offerto dalla professoressa Villa, il Prof. Fabrizio Nocera ha esaminato la vita degli internati italiani rendendo onore ad un uomo, Giovanni Iannacci, che ha fatto parte della Resistenza o, meglio, delle resistenze perché non ci fu solo la Resistenza dei partigiani ma anche quella degli internati militari messi in carri bestiame indirizzati verso i campi di concentramento snaturando la propria identità. I tedeschi usarono uno stratagemma non trattandoli come prigionieri di guerra come la convenzione di Ginevra prevedeva ma rendendoli schiavi di Hitler.
Le condizioni igieniche pessime, i pidocchi, le malattie, il lavoro usurante, il freddo, i soprusi, la mancanza di sonno con strumenti di tortura, la fame, fino all’ultima umiliazione, prima della liberazione dei campi da parte dell’Armata Rossa con la cosiddetta marcia della morte dove moltissimi perirono di freddo, di stenti). Neanche con il rimpatrio non fu facile, con lunghi mesi di attesa e di viaggio. Anche Antonio Salvatore dell’Unimol ha ricordato che la bandiera originale del partito comunista è stata custodita a Ururi. Il Corpo Italiano Liberazione, primo seme dell’esercito italiano di cui fa parte, parlando da soldato non solo da ricercatore, quindi sentendosi, spiritualmente un figlio di Giovanni che era un sottoufficiale della divisione Aqui.
Per il Prof. Anpi Molise, la guerra è una tragedia immane tanto che molti non riusciranno neanche n a parlarne perché evocava orrori, oggi bisogna ripartire da chi ha ripudiato la guerra come Giovanni Iannacci, bisogna ripartire dalla democrazia, dalla Costituzione. Il Dottor Antonio Frate, esperto in relazioni internazionali dell’area balcanica, che ha conosciuto personalmente Giovanni Iannacci, ne ha tratteggiato il carattere, leggendo un dialogo epistolare in cui si rievocavano ricordi della Grecia, dell’ospedale militare, e dove Giovanni gli chiede di recensire la sua ultima fatica letteraria.
Per concludere, la figlia del compianto Giovanni, una commossa ma determinata Camilla, ringraziando la sindaca Laura Greco e l’amministrazione comunale per aver accolto la sua richiesta di realizzare una pietra d’inciampo in memoriam, ha altresì auspicato la realizzazione di un archivio storico ad hoc ed eventualmente di un Premio Letterario per tener sempre vivo il ricordo di chi ha combattuto per la libertà come suo padre.
Emanuela Frate