Giornata nazionale dei castelli, l’omaggio alla torre di Giovanna I d’Angiò
COLLETORTO. Momenti di gloria, nel corso della Giornata Nazionale dei Castelli, per l’elegante torre angioina costruita al tempo di Giovanna I d’Angiò su una balza collinare che guarda felicemente la Capitanata. Dall’alto, sotto un sole che brilla e che incastra, tra i vicoletti di pietra angusti e stretti del borgo angioino, pezzi di luce cristallini, la torre ringrazia vestita a festa. In un contesto di suoni, di colori e di bandiere, riecheggiano i ritmi di ieri. Uno scenario particolarmente attraente fa rivivere i personaggi d’un tempo. Brillano in alto i vessilli e le bandiere quando una ragazza del posto, nei panni di Giovanna I d’Angiò, con tanto di corona e di scettro, si affaccia dal finestrone del castello per salutare i presenti. Così gli squilli delle chiarine medioevali e i ritmi del Gruppo Storico “Giovanna I d’Angiò” salgono di tono per annunciare la regina sorridente in tutta la sua bellezza.
Applausi scroscianti per questa scena inattesa. Si ricorda la potenza del regno di Napoli nel Trecento, aperto alla cultura, all’arte e ai bisogni della povera gente. Dell’epoca si ricorda l’amore per il bello. Nel piccolo borgo molisano la regina Giovanna ha lasciato una delle torri più belle del mezzogiorno d’Italia. Tra sogni e realtà le pietre vetuste raccontano in silenzio vicende inedite. Nel giorno della festa, a questa torre, dalle architetture armoniose e snelle, si rende omaggio con un appuntamento importante voluto dall’Istituto Nazionale dei Castelli. Guidato in Molise dallo storico Franco Valente. Come un tempo il contesto sorprende. Riempie d’orgoglio chi ama l’andamento lento dei borghi a misura d’uomo. Dà spazio alle strade della fantasia. Assicura un piacevole viaggio nel tempo per regalare le emozioni più belle. Un evento che lascia non poche sorprese tra i tanti visitatori giunti anche dalle regioni limitrofe. Affascina lo spettacolo degli sbandieratori. Col naso all’insù si guarda al lancio spinto più in alto. Si osservano le feritoie e i beccatelli. Nel suo insieme la scenografia incoraggia. Rincuora. Durante il volo dei colori si guardano i giochi di luce tra i merli dirimpetto al campanone dei Marinelli. Il suono armonioso degli squilli delle chiarine si mescola a rintocchi profondi. L’eco riecheggia più volte. Viaggia lontano dalla chiesa del santo patrono dedicata a Giovanni Battista decollato. Come annuncia il portale tra due angeli. Tra le bancarelle medievali si avverte uno spaccato di vita felice. Nell’androne cinquecentesco del palazzo, datato 1583, è possibile degustare le pietanze tipiche del luogo: pancotto, lunghe spirali di scarpelle e assaggini conditi con olio e Oliva Nera. Rara e preziosa cultivar del posto. Tra i gruppi in attesa il gusto si dispiega. Si assapora la bellezza di un percorso di gusto e di arte civile già dal piano terra prima di raggiungere a venticinque metri d’altezza l’ampio terrazzo della torre tra la merlatura guelfa.
Nella tarda mattinata ai piani nobili del palazzo del Marchese Rota, nella Sala Consiliare dove trionfa una tranquilla “Allegoria delle Quattro Stagioni”, l’incontro degli esperti spiega le caratteristiche dell’impianto, della torre, le vicende appassionanti della regina Giovanna I d’Angiò e le origini del luogo. A cura dell’Istituto Italiano dei Castelli, sezione Molise, dopo il saluto del sindaco Mimmo Mele, l’attenzione si concentra su “Giovanna I d’Angiò regina di Napoli e i castelli angioini in Molise”. Franco Valente, brillante come sempre, entra nel merito delle architetture napoletane. Spiegando nei dettagli come viene favorita questa nuova e più moderna metamorfosi nell’incastellamento sui profili dei monti oppure sulle colline più austere. In questa nuova stagione di difesa, senz’altro più sicura e corposa, l’uso della pietra svolge un ruolo di primo piano. Nel borgo fortificato di Collis Fortis, su cui si erge questa torre così maestosa, costruita sui ruderi di un antico castello, spiega lo storico Antonio Mucciaccio, soggiornò per tre giorni Alfonso d’Aragona durante la guerra contro Renato d’Angiò. Nella sua impostazione è possibile leggere le trasformazioni architettoniche avvenute nel corso dei secoli fino ai vari restauri più recenti. In questo luogo di antica memoria l’immagine della regina Giovanna è talmente viva che viene festeggiata in grande concorso di popolo e forestieri con appuntamenti culturali di rilievo. Lucio Giorgione, responsabile dell’Istituto Italiano dei Castelli, esperto nel campo della comunicazione, spiega le finalità dell’istituto. Sensibile e attento allo studio storico, archeologico ed artistico delle costruzioni fortificate al fine di salvaguardarle e inserirle in un percorso attivo della vita vissuta.
La professoressa Onorina Perrella precisa nel suo intervento come sia importante lavorare ancora in questo settore per recuperare ruderi di torri e castelli che corrono il rischio di scomparire per sempre. Dulcis in fundo visita alla torre. L’imponente costruzione, dalle forme armoniose, brilla come un faro sotto il sole. È un punto di osservazione privilegiato. Un unicum. Con vista su un territorio senza confini. Dalla sua comodissima sommità è possibile spaziare con lo sguardo sul mondo degli ulivi colletortesi. Su tanti ritagli geometrici olivetati. Tanti piccoli oliveti di famiglia lavorati da mani sapienti. Dall’alto della Torre della Regina si possono “toccare con mano” i cinquecento alberi di ulivo della Madonna di Lauretum a pochi passi dal tratturo Celano - Foggia, la Valle del Fortore, il fronte della Capitanata che delimita l’ampia distesa del Tavoliere pugliese tra la gobba del Gargano, le cave di Apricena, i laghi di Lesina e Varano, le Isole Diomedee e i Monti della Daunia. Nel pomeriggio a Montorio nei Frentani. Dopo i saluti del sindaco Nino Ponte, lectio magistalis di Franco Valente su L’Annunciazione. Una delle opere più belle a livello europeo dipinte su tavola nel Cinquecento da Teodoro D’Errico. Il racconto di Franco Valente entusiasma. Affascina i tanti presenti.
La sua vis espressiva, ricca di particolari e note espressive che coinvolgono l’ascoltatore, rianima, tra non poche curiosità, le vicende della famiglia di Capua, potente a Napoli e nel Molise. Brillantemente prendono corpo i significati nascosti della scena dipinta su tavola. Franco Valente ne spiega gli aspetti canonici. Tra fede e bisogni dell’uomo. Tanti i legami aperti alla filosofia della storia e ai principi dello spirito. Il racconto s’intreccia a tante notizie inedite e sconosciute. Si sofferma sui dettagli e sugli elementi costitutivi che non trovano, a quanto pare, precedenti nella storia dell’arte. Nella magnifica parrocchiale di Montorio nei Frentani brilla la luce dell’arte più bella tra altari e ricche cornici dorate. Il Padreterno guarda dall’alto il contenuto della tavola più preziosa. L’Angelo dell’Annunciazione vive la sua stagione più felice in una stanza dell’intimo piena di vita. Né femmina, né maschio, entra dalla finestra. Annuncia l’avvento più importante della storia umana. Respira sospeso. Anzi vola. Con la sua pelle delicata ritorna in carne ed ossa in Paradiso. Da solo.