Le genti della Dalmazia: viaggio nella storia della minoranza linguistica
PALATA. Quando tra il XV e il XVI secolo, agli inizi dell’età moderna, nell’est dell’Europa si espandeva la potenza dell’Impero turco-ottomano, minacciando l’intera penisola balcanica, le popolazioni croate ed albanesi intrapresero la via del mare Adriatico per trovare rifugio nel Regno di Napoli. In Molise è storicamente accertato l’insediamento delle popolazioni slave e albanesi che hanno ripopolato diversi borghi abbandonati a causa dell’epidemia di peste e del terremoto del 1456.
Le colonie slave si sono stanziate in un territorio compreso tra il Trigno e il Biferno, e anche a Palata è accertata e documentata la ricostituzione del borgo ad opera di quelli che allora venivano definiti “Schiavoni”. In un Apprezzo datato nel 1646 e trascritto dal Prof. Paolo Calvano nel saggio intitolato La Terra della Palata è scritto chiaramente: “La qual Terra della Palata avendola riconosciuta diligentemente, ho ritrovato che sta molto scarsa di Gente, li costumi della quale sono Schiavoni, e non conoscono da cinquanta anni in qua diretti Padroni, ma solamente Affittatori, (….); ed ordinariamente vanno vestiti di vesti rozze, ed’alla forese, e molti di essi stanno quasi ignudi per la povertà; verum di buonissimo colore in faccia, e di buona complessione e robusti, ed anco le donne, le quali similmente sono di aspetto rozzo, e vanno a fatigare in Campagna alle vigne, e vanno a fare la legna, e vanno vestite similmente alla forese, e stanno di complessione robusta”.
Un’altra inequivocabile testimonianza della colonizzazione croata proveniente dalla Dalmazia è data dalla scritta lapidea posta sul portale principale della Chiesa di Santa Maria la Nova, la quale si trova sulla sommità del paese: “Hoc Primum Dalmatiae Gentes Incoluere Castrum Ac a Fundamentis Templium Erexere Anno MCXXXI”.
Nel 1531 i Dalmati, quindi, fondano la Chiesa di Santa Maria La Nova e il nome stesso del borgo “Palata” non può non avere un collegamento certo con il Palazzo posto di fronte ad essa, che in croato si pronuncia Palata, allo stesso modo in cui si pronuncia il palazzo “Palata Sponza” che si trova a Dubrovnik nel sud della Dalmazia.
Altre testimonianze della presenza e discendenza croata del comune molisano sono senza dubbio alcune fontane che hanno una denominazione proveniente dall’idioma Stocavo-icavo delle popolazioni della valle del fiume Narenta: Cuclavaccia, Bovrlavizza e Iacovella. Nella prima, analizzando la radice linguistica con riferimento al croato moderno, notiamo che i termini Cucla e Cuclava si traducono in italiano con ciucciare ovvero succhiare. Questo fa pensare probabilmente all’abbeveramento degli animali. Quindi Cuclavaccia è, con molta probabilità, un termine che indica un abbeveratoio. I Croati coloni dell’epoca erano in larga parte coltivatori ed allevatori. La seconda fontana Bovrlavizza ha una radice linguistica che possiamo ritrovare nel croato moderno, all’interno dei termini Izvor, Vol e Volova. Essi significano, rispettivamente, Fonte o Sorgente, Bue e Buoi. Il termine arcaico Bovrlavizza, che ha subito nei secoli nella lingua orale una naturale evoluzione dovuta all’ibridizzazione con l’italiano, ha con molta probabilità un’affinità con l’espressione Volova Izvor oppure Izvor Volova, cioè Fonte dei buoi.
L’ultima fontana è la Fonte Iacovella che deriva dal croato Jakovel che letteralmente traduce il nome proprio Giacobbe. Ma l’intera campagna palatese è contrassegnata da denominazioni di contrade che portano nomi slaveggianti: Camara, Vricc, Krunl, Gradina, Issar.
Ricercare il significato originario dei termini arcaici in lingua straniera non è un’impresa facile, anche perché la lingua è un organismo vivente a tutti gli effetti in continua evoluzione e cambiamento.
Il recupero dell’identità storico-linguistica è un atto fondamentale per la valorizzazione del territorio e la salvaguardia del patrimonio culturale che è doveroso trasmettere alle future generazioni.
Prof. Patrizio Perazzelli