La provincia cantata in dialetto: esce il primo disco di Marco "Bricì" Colagioia
MONTENERO DI BISACCIA. Cantare la vita, le storie di provincia e l’amore per la propria terra in dialetto, e raccoglierli in un disco richiesto a gran voce. È quello che negli ultimi mesi ha fatto Marco Colagioia, in arte “Bricì”, e finalmente in quest’ultima settimana l’album “So youth for the coccia sane” ha visto la luce. Che il titolo non inganni: ammicca all’inglese ma la sua pronuncia suona come “So jut for d coccia san” (“sono andato fuori di testa”).
Bricì altro non è che il diminutivo del soprannome di famiglia, perché «tutti in paese hanno un soprannome e Bricicc era quello del mio bisnonno o forse del mio trisavolo, e da piccolo fino a oggi scherzosamente vengo apostrofato così» racconta Marco, 29 anni, montenerese doc.
Il disco nasce quasi come un gioco: a novembre Marco registra in presa diretta nello studio di un amico la canzone “Sada ndsì” (letteralmente “si deve raffreddare”), che aveva composto un po’ di tempo fa attraversando un momento molto difficile. Poi la pubblica su Youtube condividendola sui social e riceve un’accoglienza positiva e per lui molto emozionante: la ballata dolce e malinconica raccoglie infatti consensi e ottiene tantissime condivisioni e commenti entusiasti. Da lì Marco avverte la necessità di andare avanti: «Tutto quel calore mi ha spinto a comporre nuovi brani o a rivisitare vecchie bozze di anni fa».
Ecco dunque “So youth for the coccia sane”, album di otto brani (più una bonus track) che spaziano fra i generi e i contenuti più diversi, dei quali Marco Colagioia ha composto testo e musica oltre a interpretarli con voce, chitarra e non solo: armonica a bocca, mandolino e altri strumenti tutti appresi da autodidatta. «Ci tengo a dire che non sono un musicista professionista, mi definisco piuttosto un “musicante”» spiega, con eccesso di modestia a dire il vero: Marco è infatti noto e benvoluto in larga parte del Molise e del vicino Abruzzo proprio per il suo talento e la sua capacità di aggregazione sociale attraverso la musica.
Ma entrando nel merito delle canzoni, cosa si può trovare ascoltando l’album? «Andando a ritroso nel tempo, “Marzo” è una sorta di poesia in chiave folkloristica, mentre “Pass cand cand” è un reggae che spesso cantavo durante le feste con gli amici e che molti mi chiedevano di incidere. “Chiromandaje” (gioco di parole fra “chiromanti” e “aglio”) è un blues scherzoso che invita all’uso di rimedi alternativi contro il malocchio, e “Nzimbr a ta” racconta dell’affetto fra due amici di una vita. Ci sono poi brani più recenti come “Jusct du sctizz” e “Ruggine” e infine una ghost track, “L’Adriatico”, suonata con la zampogna dall’amico e maestro Jacopo Pellicciotti».
Il disco è interamente autoprodotto, col sostegno materiale e morale di tanti amici che Marco tiene a ringraziare, a partire da Enrico Brown dello studio di registrazione, «il primo a credere follemente in questo progetto dall’inizio alla fine», e dalla sorella Giada che ne ha curato la parte grafica. «Ringrazio e saluto tutti gli amici musicisti che hanno contribuito al disco con entusiasmo: Simone Franceschelli, Enrico Bruno, Angelo Di Pietro e il già citato Jacopo Pellicciotti. Un grazie ad Alessandro Zinni per aver stampato “artigianalmente” le copie, e ancora a tutti i compagni che compongono, registrano, suonano dal vivo e "si sbattono" per portare in giro la loro musica in modo indipendente, col cuore. A tutti loro è dedicato l’album».
Oltre alla potenza sonora e verbale, la vera peculiarità di quest’opera è senz’altro la scelta del dialetto - usato in modo tutt’altro che vezzoso, ma sapiente e con significati che vanno al di là del senso letterale delle espressioni. «Ci sono molti molisani emigrati, ragazzi che non tornano in paese da anni e ormai non sentono la loro “lingua madre” da molto tempo, che si sono emozionati ascoltando le mie parole. Il dialetto contribuisce a mantenere un legame anche a distanza» racconta Marco. Ma, soprattutto, il vernacolo è un tentativo di «dare voce alla provincia che esiste e resiste. Il dialetto è insostituibile, è la lingua di strada che senti dagli anziani, nei bar, che impari da bambino e ti porti dietro per sempre, così come le leggende e i proverbi che pure sono contenuti nei testi».
Marco ora ha in progetto di divulgare il disco suonandolo dal vivo in giro; la sua speranza è che «tanti ragazzi ascoltandolo, che lo apprezzino o meno, prendano spunto e inizino a fare musica o creare altre forme d’arte, a inventarsi qualcosa per non restare immobili nell’apatia». Anche per questo lo ha caricato integralmente su Youtube a beneficio di tutti; le copie fisiche sono comunque disponibili, per il momento in tiratura limitata, e chi ne volesse una può scrivere a Marco “Bricì” Colagioia sui suoi canali social o, chiosa spiritosamente, «venite a trovarmi in paese. Venite a citofonarmi, tanto ormai si usa!».