I detenuti-attori di Larino tornano in scena con “La Giara”

Lo spettacolo lun 20 dicembre 2021

Termoli L’allestimento a cura di Frentania Teatri fa il pieno di pubblico e applausi

Spettacolo di Valentina Gentile
3min

LARINO. Li avevamo salutati nell’estate del 2019, quando misero in scena un brillante Pinocchio nel cortile interno della casa circondariale, con la promessa di tornare al più presto ad ascoltarli davanti e dietro le quinte. E invece per i detenuti di Larino, come e più che per tutti noi, è arrivato l’incubo della pandemia, e i laboratori teatrali si sono interrotti, così come le visite familiari in presenza e ogni altro scambio col mondo esterno. Due anni davvero duri, in modo particolare per chi è recluso: una “prigione dentro la prigione” li ha definiti la direttrice del carcere Rosa La Ginestra. Non appena è stato possibile, quindi, si è scelto di ripartire dal teatro, una delle massime forme di espressione e integrazione, “e da tutto il percorso che c'è dietro, prima ancora che dallo spettacolo finale”.

Anche il pubblico deve aver sentito un forte richiamo e desiderio di condividere quest’esperienza, difficilmente descrivibile a parole; prova ne sia il “sold out” che ha registrato il doppio spettacolo di venerdì 17 e sabato 18 novembre, “La Giara”, liberamente tratto dall’omonima novella di Luigi Pirandello. A curarne l’allestimento, adattato alle caratteristiche strutturali della cappella della casa circondariale, è stato come sempre il regista Giandomenico Sale di Frentania Teatri, per gli attori-detenuti “un amico prima che un maestro”.

La storia è tanto lineare quanto complessa: il ricco Don Lollò (interpretato con passione da Alfonso, già noto agli habitué) condensa in un oggetto, una giara per l’appunto, tutta la sua avarizia e diffidenza verso gli altri, al punto da perdere il senno e chiamare il suo avvocato quando questa si trova misteriosamente rotta in due. Gli fa da controcanto zì Dima, un vecchio vasaio che garantisce di poter riparare l’oggetto grazie a un mastice miracoloso, ma che nel farlo ci resta bloccato dentro. Da qui si genera il conflitto, che fa scontrare due personalità ugualmente forti e testarde in modo paradossale, in un gioco delle parti in cui nessuno ha torto o ragione. A rendere ancor più grottesca la situazione, una moltitudine di figure che ora incitano, ora deridono, gravitando senza sosta attorno al centro della scena con movimenti corali che dal realismo (la raccolta delle olive, una veglia funebre) si trasformano irriverentemente, grazie alle musiche e al ballo, in opera pop.

La trasposizione teatrale sa mescolare il carattere di ogni personaggio al vissuto di ognuno dei dodici attori-detenuti, dei quali il regista ha scelto ancora una volta di mantenere le inflessioni dialettali, come già nei precedenti allestimenti. Il grande lavoro di preparazione dello spettacolo è evidente dall’abilità di assorbire la concentrazione; durante quell’ora, di fatto, non si è più di fronte a un gruppo di detenuti, né di persone qualsiasi, quanto a una compagnia di attori davvero talentuosi, anche se “nessuno di noi forse diventerà mai un vero attore: lo facciamo per mandare il nostro pensiero fuori di qui e alleviare un po’ le nostre pene” racconta a fine spettacolo Vincenzo, dopo aver conquistato gli spettatori nei panni di Zì Dima. È visibilmente emozionato e grato al pubblico, come lo sono tutti i suoi compagni che, dopo aver dismesso gli abiti di scena, si fermano a scambiare qualche parola e gli auguri per le festività in arrivo.

Frementi ci svelano che è già in preparazione un nuovo allestimento, che tutti sperano di riuscire a portare in scena all’aperto nella prossima estate. “Tornate a vederci, questi momenti sono fra le poche gioie che abbiamo” è su per giù la preghiera di ognuno di loro, a metà fra il commosso e il divertito. Ed è il minimo che possiamo fare e che invitiamo tutti a fare; da un’esperienza simile si esce più che appagati sul piano culturale e toccati su quello umano.

Una ripartenza resa possibile grazie al contributo concesso dall’Otto per mille della Chiesa Valdese.

Valentina Gentile

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