TERMOLI. Bagno di folla in riva all’adriatico per monsignor, Giancarlo Maria Bregantini, nuovo arcivescovo metropolita della diocesi Campobasso-Bojano. Il presule, noto per la sua lotta senza quartiere alle cosche mafiose che operano nella ‘Locride’, è stato chiamato in città per inaugurare l’ottavo Ciclo di Letture Bibliche, indetto dalla diocesi Termoli-Larino.
Un’occasione straordinaria di cui ha beneficiato la città e la popolazione diocesana, che ha avuto l’opportunità di avvicinare il nuovo capo dei vescovi molisani a poco meno di due mesi dalla data del suo insediamento ufficiale alla guida dell’arcidiocesi di Campobasso.
Accolto dal vescovo, Gianfranco De Luca e da numerosi parroci accorsi da tutti i paesi dell’entroterra, Bregantini si è concesso alle telecamere delle emittenti televisive regionali e alle interviste della quasi totalità degli organi d’informazione regionali, prima di fare il suo ingresso nella sala del ‘Cinema Sant’Antonio’, con la gente stipata fino ai limiti della sua capienza.
Bregantini sembra sentire ancora con intensità il suo distacco dalla martoriata terra di ‘Locride’, l’abbandono della sua missione dell’uomo sugli uomini che ha caratterizzato l’arco di tempo del suo mandato pastorale in Calabria.
E’ salito su palco accolto da un applauso scrosciante; un consenso sull’immagine, sulla fama: a scatola chiusa. In sala, tra la gente, c’era anche suo fratello che lo guarda con gli occhi lucidi, forse comprendendo una volta di più qual è lo spessore umano e l’aspettativa che lo circonda a trent’anni da quella discesa nella ‘Locride’ assieme alla famiglia, per formarne un’altra e dotarla di fierezza, di voglia di autodeterminazione e di riscatto.
Poi ha preso la parola e si è rivelato per quello che tutti si aspettavano che fosse. Un verbo docile, suadente: ininterrotto. Un’oratoria fluente e coinvolgente che, per certo, sarà stata l’arma micidiale messa in campo per combattere la violenza e il malaffare. L’arma dirompente della parola, del ragionamento: della fede nelle cose giuste.
Parla con garbo; imbecca i presenti; li chiama sovente alla risposta sfruttando al massimo l’attenzione di chi lo ascolta risimulandone il labiale. Ricorda le tante lacrime versate dal popolo che aveva guidato per anni; i dolore, sgomento salito e manifestato con forza, quasi con rabbia dalla gente di Calabria: ma insiste sul concetto e sulla scelta dell’ubbidienza che – ha detto convinto – “in sé cela sempre un progetto, un nuovo disegno da portare a compimento”.
Poi con una metafora particolarmente suggestiva raffigura la realtà come un tappeto antico. Un opera artigianale fatto di ‘trama’ e di ‘ordito’. “La Calabria, la trama – ha aggiunto – il Molise, l’ordito nella prosecuzione di un lavoro che vede nella figura del vescovo lo sposo fedele alla terra cui viene destinato”.
“Chi annuncia Cristo – dirà poco dopo – non teme le separazioni. Quando un albero viene potato, si rinvigorisce e produce frutti ancora più copiosi”.
Ne è convinto, così com’è convinto che l’attenzione del suo imminente mandato in Molise, non potrà che incardinarsi sulla ricerca e sulla difesa dei valori per i quali ha combattuto per trent’anni: la valorizzazione delle giovani generazioni; la legalità, il merito: l’onestà.
La sua lettura del libro di Giosuè e l’accostamento alla tematica della lettura ‘Il Dono della Terra’, si è intersecata sistematicamente con riferimenti vicini alla sua esperienza di presule, fino a toccare con delicatezza ogni corda emotiva dei presenti.
Dunque la terra come nel libro di Giosuè, “che va prima conquistata, poi equamente distribuita e ancora seminata con cura, nell’attesa delle primizie e dei frutti copiosi”.
Passaggio denso di significato, questo, che ha lasciato intendere nitidamente ciò che è destinato a compiere in Molise e il suo modo di voler governare la Chiesa oltre che i suo cammino tra gli uomini.
“Giosuè, in fondo chi è – ha detto ancora – è colui che da voce alla voce. Il mio compito non è stato chissà quale; non ho fatto altro che raccogliere la voce dei ragazzi della ‘Locride’ per cui anche senza di me saranno in grado di proseguire il cammino. A qualche giorno dalla certezza della mia partenza erano tutti costernati. Poi abbiamo compreso che Dio li ha fatti forti, perché la loro voce si è fatta forte ed il vescovo non ha fatto altro che dare voce a quelli che l’avevano già. E così in avanti: arriverà un altro che darà voce e la filiera creata, la ragnatela positiva, la rete creata resta e le radici sul piano sociale delle cooperazioni e delle iniziative saranno ugualmente profonde”.
“La mafia spacca le relazioni, rende schiavi, rovina le collaborazioni, rende le persone individualistiche perché impaurite – ha detto ancora Giancarlo Bregantini -.
“La mafia gongola sulla paura che a sua volta gioca sull’idea di destino. E il destino è il più grande e terribile male culturale della Calabria e di tante altre regioni del sud”. Lavorando insieme; creando relazioni positive, (e torna alla metafora del tappeto) riesco a creare un tessuto, trama e ordito positivo. Così combatto e talvolta scofiggo la mafia; ho la capacità di esserne antagonista. Questo è il punto per cui la più grande forza contro la mafia, che non sono i Carabinieri e la Polizia pure necessari, sarà fondamentale sviluppare la capacità di dare alle persone il senso di relazioni serene, positive e libere”.
Insomma, quello che doveva essere una fugace lettura biblica è ben presto diventato l’avvio del suo messaggio futuro; e alla domanda: “crede o pensa che anche in Molise possano rendersi necessarie attenzioni o azioni preventive in difesa della società”, il vescovo “anti ’ndrangheta”, non ha esitato rispondendo: “Non vengo come un eroe senza tempo. Vengo tra voi da persona umile che vuole imparare a camminare a fianco del popolo che Dio mi ha chiamato a guidare”.
Pietro Eremita